Indice
Le prime frasi del libro:
PREISTORIA
In un dato momento della nostra vita - i venti mesi che separano l'8 settembre 1943 dal 25 aprile 1945 - siamo stati coinvolti in eventi più grandi di noi. Dalla totale mancanza di partecipazione alla vita politica italiana, cui ci aveva costretto il fascismo, ci siamo trovati, per così dire, moralmente obbligati a occuparci di politica in circostanze eccezionali, che sono quelle dell'occupazione tedesca e della guerra di Liberazione. La nostra vita è stata sconvolta. Tutti noi abbiamo conosciuto vicende dolorose: paura, fughe, arresti, prigionia; e la perdita di persone care. Perciò dopo non siamo più stati come eravamo prima. La nostra vita è stata divisa in due parti, un "prima" e un "dopo", che nel mio caso sono quasi simmetriche, perché il 25 luglio 1943, quando cadde il fascismo, avevo trentaquattro anni: ero giunto nel "mezzo del cammin" della mia vita. Nei venti mesi fra il settembre 1943 e l'aprile 1945 sono nato a una nuova esistenza, completamente diversa da quella precedente, che io considero come una pura e semplice anticipazione della vita autentica, iniziata con la Resistenza, alla quale partecipai come membro del Partito d'azione.
Quando dico "noi" intendo una generazione di intellettuali che, come me, ha vissuto il passaggio fra due contrapposte realtà italiane. A questa generazione era dedicata la mia raccolta di ritratti e testimonianze Italia civile, apparsa nel 1964, per iniziativa della giovane casa editrice Lacaita di Manduria. Il titolo mi era stato suggerito, per antitesi, dal libro di Curzio Malaparte pubblicato da Gobetti nel 1925, Italia barbara. Come ho spiegato nella nuova edizione (Passigli, Firenze 1986), i personaggi che popolano l'Italia civile - e quelli che s'incontrano in altre due raccolte di ritratti edite da Passigli: Maestri e compagni (1984) e Italia fedele (1986) - appartengono a un paese ideale, rappresentano un'altra Italia, immune dai vizi tradizionali della vecchia Italia reale, che pensiamo ogni volta superata e con la quale invece dobbiamo sempre fare i conti. Un'Italia segnata, scrivevo, da prepotenza in alto e servilismo in basso, soperchieria e infingardaggine, astuzia come suprema arte di governo e furberia come povera arte di sopravvivere, il grande intrigo e il piccolo sotterfugio. Gli uomini di cui ho reso testimonianza rappresentano un'altra Italia e addirittura un'altra Storia.
Norberto Bobbio è nato a Torino il 18 ottobre 1909. Un vento di protesta, con cortei, comizi, mozioni parlamentari, appelli di intellettuali, agitazioni sindacali, incidenti diplomatici, batteva da una settimana l'Europa, dopo la fucilazione, a Barcellona, del rivoluzionario catalano Francisco Ferrer, accusato dal governo spagnolo di aver fomentato una rivolta e condannato in un processo senza prove. Nel nostro paese, la Confederazione del lavoro aveva proclamato lo sciopero generale a Roma e Torino. Le tensioni politiche non si erano placate, alimentate dall'ostilità dei socialisti e degli anarchici contro l'arrivo, alla Reggia di Racconigi, dell'imperatore Nicola II, lo zar di Russia, o Csar o Tsar, come preferivano scrivere i giornali.
Lunedì 18 ottobre l'anagrafe di Torino registrò ventidue nascite, dodici maschi e dieci femmine. La giornata appariva umida e nuvolosa. Al Teatro Carignano recitava la compagnia di Emma Gramatica. La FIAT era stata fondata nel 1899 e produceva circa 1800 autovetture l'anno. L'aviazione era uno sport alla moda, a tal punto che "La Stampa" di lunedì 18 pubblicava nella rubrica Domande d'impiego: "Giovane, distinto, appassionato aviazione, piloterebbe apparecchi aerei". Piero Gobetti, che Bobbio non incontrerà mai, aveva otto anni e frequentava la scuola elementare Pachiotti. Il giorno dopo la nascita di Bobbio, martedì 19, sarebbe morto Cesare Lombroso, dal 1876 docente di Medicina legale e di Igiene pubblica all'università di Torino.
Mio padre Luigi Bobbio, medico-chirurgo, originario della provincia di Alessandria, primario all'ospedale San Giovanni, era uno dei più noti chirurghi della città. Mio nonno paterno, Antonio, era un maestro elementare, in seguito direttore didattico, cattolico liberale, che aveva collaborato al giornale alessandrino "La Lega" e si era interessato di filosofia, pubblicando due libri critici sui pensatori positivisti Roberto Ardigò e Herbert Spencer, oltre a un libro manzoniano, dal titolo che oggi fa sorridere: Il Vero, il Bello e il Buono nei "Promessi Sposi". Non molto tempo fa un giovane storico alessandrino, Cesare Manganelli, ha curato una scelta di diari inediti che mio nonno aveva scritto durante tutta la vita. Il libro, pubblicato dal giornale "Il Piccolo" di Alessandria, è uscito col titolo Memorie, con una mia prefazione in cui scrivo tra l'altro: "Del nonno, in noi ragazzi è rimasta l'immagine di un vecchio venerando e venerato, che ci metteva soggezione, e di cui gli stessi figli parlavano con ammirazione e reverenza".