La confraternita

- È sorpreso, signor McKay? - H0 smesso di sorprendermi quasi otto mesi fa, - replicai. Ed era vero. Trovavo il dolcevita scuro del mio ospite fin troppo prevedibile, così come i pantaloni che terminavano appena sopra la caviglia e i mocassini che, da soli, dovevano costare quanto tre mesi del mio affitto. Non mi stupì neanche il salone che pareva uscito dal numero di agosto di «Architectural Digest». Tende vaporose, pavimento di tek, un'incomprensibile scultura moderna, divani candidi e un maestoso camino coloniale che ero sicuro nessuno avesse mai acceso. Annusai l'aria in cerca di una traccia di profumo, ma non percepii nulla. Alcune vetrate antiproiettile, ci dividevano dal rettangolo azzurro di una piscina a sfioro, circondata dalle sdraio disegnate da Henry Wright, mai entrate in produzione, e da una linea di palme talmente fitta da sembrare una barriera di cavalli di Frisia. - È stanco? - mi domandò con fare noncurante. Non ero stanco, ma qualcosa non mi quadrava. - Dovrei? - È arrivato a piedi. Deve essere un bel po' di strada da casa sua. - Ma lei non sa dove è casa mia, - puntualizzai.