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È possibile, tra i mille stridori di questa difficile stagione italiana, parlare pacatamente dei rapporti tra magistratura e politica? È possibile abbassare il tono della voce, e provare a ragionare?Due pubblici ministeri, di Firenze e di Torino, eredi diretti della tradizione dei Vigna e dei Caselli, scrivono un libro sulla magistratura e lo dedicano a due grandi avvocati del passato: Piero Calamandrei e Dante Livio Bianco. Un libro sulla magistratura di oggi, sulle sue culture, sul suo ruolo attuale. Una riflessione sulla domanda di fondo a cui tutte le tensioni di oggi vanno ricondotte. Da dove trae origine la legittimazione dei giudici in una moderna democrazia costituzionale? Dove comincia, e dove finisce, oggi, l'idea stessa della loro «autonomia»? È una domanda che porta a confrontarsi con le magistrature di altri paesi europei, esaminandone la collocazione istituzionale, i criteri di selezione, di nomina, di formazione e controllo professionale, e di progressione nelle carriere.Tutta l'analisi è sostenuta da una duplice consapevolezza. Da un lato, che un giudice garante dei diritti di tutti i cittadini non può essere collegato al potere politico. Ma, dall'altro, che l'indipendenza della magistratura non è un valore in sé: è un bene strumentale al fine dell'affermazione di legalità e del principio di uguaglianza. E che dunque la vera legittimazione dei giudici si fonda sulla loro professionalità e credibilità. È soltanto attraverso l'introduzione di controlli seri nei confronti dell'operato dei giudici - che non si trasformino però in controlli politici - che potremo avere dei giudici liberi e all'altezza dei loro compiti: una magistratura indipendente, che sia sentita come patrimonio comune di tutti i cittadini.
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