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Una nazione folle e infantile che tradisce e rigetta il ricordo del proprio passato, il modo più bello per viaggiare e godere del paesaggio, l'unico ombelico del tempo che ci teneva in contatto con la nostra dimensione ancora selvaggia di prima dell'era industriale e che ci aveva pazientemente accompagnato nel nostro cambiamento. Il presidente ferroviere non è che la ridicola espressione sintomica del male oscuro che ci portiamo dentro, del difetto mentale che pretende di vivere un infinito presente. Un racconto poetico e malinconico.
Una nazione folle e infantile che tradisce e rigetta il ricordo del proprio passato, il modo più bello per viaggiare e godere del paesaggio, l'unico ombelico del tempo che ci teneva in contatto con la nostra dimensione ancora selvaggia di prima dell'era industriale e che ci aveva pazientemente accompagnato nel nostro cambiamento. Il presidente ferroviere non è che la ridicola espressione sintomica del male oscuro che ci portiamo dentro, del difetto mentale che pretende di vivere un infinito presente. Un racconto poetico e malinconico.
Dalla prima all'ultima pagina Rumiz riesce a trasmettere quella sana nostalgia dei lunghi, faticosi e affascinanti viaggi in treno. Quel treno che come un lungo serpente è riuscito ad attraversare ed insinuarsi nei luoghi più inaccessibili e affascinanti d'Italia. Si quell'Italia provinciale nel buon senso del termine, dei bellissimi borghi e paesini. Molte di queste tratte oggi sono solo un bel ricordo, visto il passaggio a favore dell'aereo e l'automobile. Sicuramente il messaggio dell'autore è, prima che il treno decada definitivamente, di salire sul teno ed affrontare "il viaggio" per riscoprire il mezzo di trasporto che ha costruito la storia del nostro paese. Una storia che non possiamo permetterci di dimenticare.
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