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Anno edizione: 2011
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Mark Lamming, un rispettabile biografo, come recita il titolo del romanzo, nel suo lavoro di ricerca per ricostruire la vita di Gllbert Strong, incappa in "quella sfaccettatura del caleidoscopio che costituisce la vita degli esseri umani" - sto parafrasando quanto dice lo stesso protagonista - e scopre un colore di sé che non pensava potesse mai avere. La sua esistenza svolta, ma solo per il tempo di un viaggio, per l'accendersi di un sentimento nuovo, inaspettato visto l'oggetto del desiderio, al di fuori di qualsiasi ipotesi che si potesse formulare, data la sua persona. La vita non è un teorema matematico, non è un triangolo rettangolo in cui il quadrato costruito sull'ipotenusa è sempre equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui cateti, la ripetizione incessante data da quel "sempre" non appartiene al linguaggio dell'esistenza umana, che invece confonde cateti e ipotenuse (io ancor di più, che di matematica ci capisco pochissimo!) e si diverte a costruire le aree dei quadrati dove le capita. E poi anche l'oggetto di studio di Mark, quel Gilbert Strong che per tutto il libro non è accattivante, non sembra nemmeno troppo di spicco, spesso appare saccente e superficiale, alla fine si riscatta, offrendo di sé un colore diverso, tenero. Anche in questo romanzo sono i sentimenti a dominare la scena e la Lively si conferma abile sceneggiatrice, assegnando belle parti a personaggi convincenti, ben messi a fuoco, ciascuno con la sua ragion d'essere e la sua netta personalità. E ci consegna, attraverso le parole di Gilbert Strong, il senso della vita: "Una volta [...] molto tempo fa, riponevo una certa fede nel futuro, atteggiamento che in seguito si sarebbe rivelato privo di fondamento. Da allora, ho imparato a basare la mia fiducia sull'opportunità anziché sulla speranza". Che per me è come dire: siamo in balia del caso, ma l'opportunità tocca a noi riconoscerla e coglierla, quando il caso ce la porge.
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