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Pittata d'argento - Aldo Pera - copertina
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Pittata d'argento
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Pittata d'argento - Aldo Pera - copertina
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Descrizione


"Pittata d'argento" è un racconto romanzato sulla Sicilia degli anni '60 vista con gli occhi di due ragazzi di quattordici anni. Una storia delicata di amicizia, di rievocazioni di profumi e sapori dai risvolti talora tragici e inaspettati. Nello sfondo il mare di Selinunte, la luce della luna e l'ombra della mafia.
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Dettagli

2014
11 marzo 2015
272 p., Brossura
9788898505876

Valutazioni e recensioni

Recensioni: 5/5

Pittata d’argento è la luna, la silenziosa amante di Cola, il pescatore di Marinella, giovane cresciuto troppo in fretta, interprete di una rude ma vera amicizia, di un difficile ma struggente amore, vittima degli errori della giustizia terrena, eroe, suo malgrado, nel momento della tragica fine. Stavo per scrivere “protagonista”, ma in effetti, in una atmosfera di coralità quasi verghiana, tutto il villaggio – sorta di locus amoenus, dove vive una umanità primitiva ma genuina, nel quale non è difficile individuare l’orma di situazioni e personaggi reali - fa da essenziale cornice a un intreccio di vicende. Una storia di amicizia, innanzitutto, tra Cola - “Bello come un dio greco. Fiero come un antico guerriero. Povero come un pescatore” – e Giovanni, il figlio del medico, l’io narrante del racconto. Due ambienti lontani e contrastanti: quello del piccolo “marinaro”, che deve lasciare la scuola per guadagnare il pane per sé e la madre Sara, dopo la prematura scomparsa del padre; quello del rampollo di una onesta e facoltosa famiglia borghese, che, dopo la maturità, andrà a studiare a Milano. I ragazzi si vogliono bene, nel modo a volte brusco, proprio di certe amicizie maschili, e insieme percorrono le esperienze tipiche dell’adolescenza: l’intesa, la complicità, la scoperta di un mondo pieno di attrattive ma anche di inganni, l’approccio alla sessualità, nella Sicilia degli anni Sessanta, coi suoi pregiudizi e le sue chiusure. Un’amicizia fatta, a volte, di eloquenti silenzi, ma anche di gite sulla mitica Vespa, di uscite in barca, di passeggiate al parco archeologico, di incontri con turiste, di ricerca di espedienti per far qualche soldo; spunti che devono star tutti nei personali ricordi dell’Autore e di chi ha passato, in quegli anni, le estati della sua adolescenza a ridosso della città morta, quando ancora non c’erano le dune, e si andava, la sera, col mangiadischi appresso, tra le rovine dei templi, a tentare di rubare una fugace carezza, un timido bacio, il primo brivido di una acerba passione. Per tornare al romanzo, esso è ancora una storia di amori difficili: l’amore, che sorge spontaneo e inevitabile, tra Cola e Giselle, la bella ballerina francese che accompagna il padre Robert sull’Oxigen, la barca che deve restare per qualche tempo nel porticciolo in attesa delle nuove vele; l’amore, più lento a esprimersi e a realizzarsi, ma non per questo meno intenso e vero, tra Robert e Sara. Sentimenti che sembrano voler sfidare l’atavica rassegnazione di chi pensa d’essere condannato a una sorte già scritta e segnata: “Io vivo una vita che non mi appartiene” – dice Cola a don Cosimo, il riconoscibilissimo parroco della borgata – “che non ho voluto e che non voglio vivere. Andavo a mare ancor prima di nascere. Appena venuto al mondo puzzavo già di pesce… Come posso amare questa vita che non ha speranza e né futuro?” Eppure Cola non è un rassegnato: pur non rinnegando il suo mondo (bellissimo il rapporto col nonno Simone), egli vuole costruire la sua esistenza, e dunque vive alla pari la sua amicizia con Giovanni, accetta un amore problematico con una donna di spettacolo, e non molla neppure quando, fatto segno di un errore giudiziario, finisce in cella e dimostra anche lì di essere più uomo di tanti altri, per poi restare vittima – una volta liberato – di quella criminalità organizzata che egli non ha voluto servire. Un intreccio di storie che l’Autore racconta con leggerezza, capacità d’introspezione psicologica e grande equilibrio narrativo, in un italiano sorvegliato cui non è discaro, a volte, l’utilizzo di un siciliano che non scade mai nel gergale o nel macchiettismo alla Cammilleri. Un romanzo d’esordio, quello di Aldo Pera, che si pone, in una prospettiva meno scettica, nel solco della grande narrativa isolana – da Verga a Pirandello, da Sciascia a Bufalino - dove, alla fine, la vera protagonista è forse questa luna, amante tacita e lontana, eterna pellegrina, simbolo di un riscatto che è sempre possibile, là dove l’acqua luccica di luce splendente, “vestita di niente e pittata d’argento”. Francesco Saverio Calcara

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francesco calcara
Recensioni: 5/5

Pittata d’argento è la luna, la silenziosa amante di Cola, il pescatore di Marinella, giovane cresciuto troppo in fretta, interprete di una rude ma vera amicizia, di un difficile ma struggente amore, vittima degli errori della giustizia terrena, eroe, suo malgrado, nel momento della tragica fine. Stavo per scrivere “protagonista”, ma in effetti, in una atmosfera di coralità quasi verghiana, tutto il villaggio – sorta di locus amoenus, dove vive una umanità primitiva ma genuina, nel quale non è difficile individuare l’orma di situazioni e personaggi reali - fa da essenziale cornice a un intreccio di vicende. Una storia di amicizia, innanzitutto, tra Cola - “Bello come un dio greco. Fiero come un antico guerriero. Povero come un pescatore” – e Giovanni, il figlio del medico, l’io narrante del racconto. Due ambienti lontani e contrastanti: quello del piccolo “marinaro”, che deve lasciare la scuola per guadagnare il pane per sé e la madre Sara, dopo la prematura scomparsa del padre; quello del rampollo di una onesta e facoltosa famiglia borghese, che, dopo la maturità, andrà a studiare a Milano. I ragazzi si vogliono bene, nel modo a volte brusco, proprio di certe amicizie maschili, e insieme percorrono le esperienze tipiche dell’adolescenza: l’intesa, la complicità, la scoperta di un mondo pieno di attrattive ma anche di inganni, l’approccio alla sessualità, nella Sicilia degli anni Sessanta, coi suoi pregiudizi e le sue chiusure. Un’amicizia fatta, a volte, di eloquenti silenzi, ma anche di gite sulla mitica Vespa, di uscite in barca, di passeggiate al parco archeologico, di incontri con turiste, di ricerca di espedienti per far qualche soldo; spunti che devono star tutti nei personali ricordi dell’Autore e di chi ha passato, in quegli anni, le estati della sua adolescenza a ridosso della città morta, quando ancora non c’erano le dune, e si andava, la sera, col mangiadischi appresso, tra le rovine dei templi, a tentare di rubare una fugace carezza, un timido bacio, il primo brivido di una acerba passione. Per tornare al romanzo, esso è ancora una storia di amori difficili: l’amore, che sorge spontaneo e inevitabile, tra Cola e Giselle, la bella ballerina francese che accompagna il padre Robert sull’Oxigen, la barca che deve restare per qualche tempo nel porticciolo in attesa delle nuove vele; l’amore, più lento a esprimersi e a realizzarsi, ma non per questo meno intenso e vero, tra Robert e Sara. Sentimenti che sembrano voler sfidare l’atavica rassegnazione di chi pensa d’essere condannato a una sorte già scritta e segnata: “Io vivo una vita che non mi appartiene” – dice Cola a don Cosimo, il riconoscibilissimo parroco della borgata – “che non ho voluto e che non voglio vivere. Andavo a mare ancor prima di nascere. Appena venuto al mondo puzzavo già di pesce… Come posso amare questa vita che non ha speranza e né futuro?” Eppure Cola non è un rassegnato: pur non rinnegando il suo mondo (bellissimo il rapporto col nonno Simone), egli vuole costruire la sua esistenza, e dunque vive alla pari la sua amicizia con Giovanni, accetta un amore problematico con una donna di spettacolo, e non molla neppure quando, fatto segno di un errore giudiziario, finisce in cella e dimostra anche lì di essere più uomo di tanti altri, per poi restare vittima – una volta liberato – di quella criminalità organizzata che egli non ha voluto servire. Un intreccio di storie che l’Autore racconta con leggerezza, capacità d’introspezione psicologica e grande equilibrio narrativo, in un italiano sorvegliato cui non è discaro, a volte, l’utilizzo di un siciliano che non scade mai nel gergale o nel macchiettismo alla Cammilleri. Un romanzo d’esordio, quello di Aldo Pera, che si pone, in una prospettiva meno scettica, nel solco della grande narrativa isolana – da Verga a Pirandello, da Sciascia a Bufalino - dove, alla fine, la vera protagonista è forse questa luna, amante tacita e lontana, eterna pellegrina, simbolo di un riscatto che è sempre possibile, là dove l’acqua luccica di luce splendente, “vestita di niente e pittata d’argento”. Francesco Saverio Calcara

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La Sicilia degli anni Sessanta tra rievocazioni e suggestioni: “Pittata d’argento” di Aldo Pera Giovanni e Cola sono più che compagni di banco: non c’è nulla che Giovanni non farebbe per Cola, nulla che Cola non farebbe per Giovanni. È un’amicizia autentica la loro: un legame forte, indissolubile, capace di vincere la differenza di classe, i pregiudizi e colmare ogni distanza. “Pittata d’argento”, romanzo d’esordio di Aldo Pera, è la storia, intensa e commovente, di due ragazzi, nel trapasso dall’adolescenza all’età adulta, momento che si aggancia alla rivoluzione culturale degli anni Sessanta. Ambientata nella borgata marinara di Selinunte, la loro vicenda di formazione si intreccia alle esistenze di una moltitudine di personaggi, alcuni dei quali portatori di un’umanità straordinaria, in un’alternanza di pagine intrise di dolore e di sequenze che sono un inno alla libertà degli anni verdi della gioventù. Inseparabili, sulla Vespa di Giovanni o sul “Chiaraluna” (non una semplice barca da pesca, ma un’opera d’arte, lasciata a Cola dal padre troppo presto venuto a mancare), i due giovani condividono avventure, pericoli, emozioni. Vorrebbero condividere anche speranze e sogni, se non fosse che in quella terra che confina col mare chi è povero non può permettersi di sognare. «Folle è l’uomo che parla alla luna» scriveva Shakespeare: nelle notti in cui va per mare a guadagnarsi da vivere, Cola sussurra all’astro dolci parole. Come nei notturni leopardiani, la luna resta silente custode degli umani segreti e su essi proietta la sua incantevole luce argentea. «Alla luna non importa se sono povero» confida Cola a don Cosimo, il parroco del borgo. Non importa neanche a Giselle, giunta su un veliero battente bandiera straniera, sottratto a naufragio certo dal coraggio di Cola. L’incontro con quella ragazza, radiosa e bellissima, distinta ed elegante, illumina la vita dell’umile pescatore, che grazie a lei finalmente trova il coraggio di sognare e progettare un futuro diverso da quello che il destino sembra aver scritto per lui. Rosario Atria

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