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Satyricon. Testo latino a fronte - Arbitro Petronio - copertina
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Descrizione


Encolpio e Ascilto sono due studenti metà vitelloni, metà capelloni che passano da un’avventura all’altra, anche la più sciagurata, con l’innocente naturalezza e la splendida vitalità di due giovani animali.
Federico Fellini


Attribuito a uno di più enigmatici personaggi della corte neroniana, quel Petronio "arbitro dell’eleganza" di cui Tacito ha tracciato un magistrale ritratto, il Satyricon è un’opera assolutamente originale ed eccentrica nel panorama della letteratura latina e di ogni tempo. Sullo sfondo delle peregrinazioni per l’Italia meridionale di Encolpio e Ascilto, cui si unisce il poeta fallito Eumolpo, campeggia nei suoi aspetti più grotteschi e triviali il mondo sordido e opulento della Roma imperiale, coi suoi liberti arricchiti (tra cui l’indimenticabile e quasi proverbiale Trimalchione), intellettuali velleitari, cacciatori di eredità, parassiti. Romanzo erotico, satira, quadro di costume, il Satyricon riunisce e rifiuta allo stesso tempo ogni definizione di genere, enigmatico e sfuggente come il suo autore.
 



Andrea Aragosti insegna Grammatica latina all’Università di Pisa. A Petronio ha dedicato vari studi di carattere narratologico, commenti e indagini sulla tradizione del testo.

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Dettagli

1995
Tascabile
544 p.
9788817170192

Valutazioni e recensioni

FRANCESCO PELLICCIO
Recensioni: 5/5

Il Satyricon (o Satyrica o altri nomi ancora) è un romanzo unico nell'antichità classica e di una modernità straordinaria. Da una parte si deve certo evitare di modernizzare eccessivamente il libro, scritto in un periodo imprecisato dell'età imperiale (l'autore è forse di I d.C. ma c'è chi lo posticipa fino al IV d.C.), è sicuramente collegato a modelli greci e rientra in un genere letterario ben definito già nell'antichità, ovvero la parodia di una narrazione fantastica, a cui si rifà. Pertanto, anche se non dobbiamo guardare al romanzo come fosse l'opera di Sterne o di Joyce, è sorprendente notare l'assoluta miscela di generi e stili usati dall'autore. Incomincia (visto il suo stato fortemente frammentario) con un dialogo sull'istruzione tra il protagonista, Encolpio, ed un maestro di retorica, Agamennone che spiega chiaramente le colpe dei genitori nell'educazione dei figli (!) e continua, tra sotterfugi ed avventure picaresce, iniziazioni sessuali e furti, fino all'invito ricevuto dal protagonista e dai due co-protagonisti Ascelpio e Gitone alla celebre Cena di Trimalchione, buffo e surreale personaggio, prototipo dell'arricchito ignorante, attorniato da una eccezionale "corte dei pazzi". Questa cena occupa la maggior parte del testo in nostro possesso (che originariamente era, a quanto pare, circa 8 volte più grande!) e che si conclude con i tre personaggi principali che fanno naufragio a Crotone dove sono accolti da una matrona erotomane. Ma al di là della trama quello che affascina è lo stile pieno di inventiva, capovolgimenti di scena, parodia letteraria e metaletteraria: la satira sociale infatti si sovrappone spesso ad una fortissima consapevolezza metaletteraria, rara per l'età antica. La lingua alterna il sermo vulgaris, pieno di espressioni più italiane che latine, e brani di altissima prosa o di poesia, a seconda dei parlanti e delle occasioni descritte. Insomma un'opera aperta, e che usa, ante litteram, l'artificio di straniamento, dietro cui è difficile mantenersi freddi e non entusiasti per un romanzo sorprendente per varietà, ironia e modernità.

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