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Anno edizione: 2015
Anno edizione: 2015
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Un libro già teatrale e, forse, cinematografico. Un’opera prima inedita, l’unico possibile seguito del diario più famoso della storia. Che sia un lavoro ispirato lo si capisce ancor prima di leggerlo, dal titolo; solo dopo si riesce a cogliere in tutte le sue profondità e sfumature, nelle sue atmosfere delicate, luminose o decadenti. La copertina si preannuncia come una carta colorata a quadretti (quella dell’originale diario di Anne Frank), con cui l’autore incarta idealmente il suo regalo per l’ottantaseiesimo compleanno della protagonista. Egli è riuscito a far coincidere il proprio universo interiore, il suo patrimonio di idee, di sentimenti e di speranze, miscelandole sapientemente con le reali vicende della protagonista e aggiungendoci un pizzico di storia, una spruzzata di poesia e d’immaginazione. Un testo gravido di contenuti, che spaziano in maniera semplice e onesta tra i sentimenti, la fede, l’ecumenismo, una fedele rappresentazione della vita dei lager e la storia della famiglia Frank. Con una scrittura scorrevole e coinvolgente i contenuti vengono esposti in maniera organica e lineare; ogni lettera trova la sua perfetta collocazione nei luoghi e nei tempi del racconto. Un’impresa titanica che avrebbe spiazzato anche il più abile degli scrittori. Un libro diverso, profondo, innovativo, magico, toccante, ispirato. Sin dall’incipit si capisce che il ritmo del testo, la cadenzatura delle parole, gli intercalari, riconducono immediatamente alla vera Anne Frank. In poche righe il lettore viene subito coinvolto e imprigionato nella sua semplice ingenuità, nel suo ottimismo, e viene condotto in un lungo viaggio di buoni sentimenti. Si riscopre meschino, pensando alla tragedia della Shoah, poi anch’egli prigioniero. Gli viene quasi voglia di fare qualcosa, ma non può far altro che continuare a leggere. Tra un’inevitabile pausa e un’altra, deve commuoversi o disperarsi. Sorridere o indignarsi. Questi momenti di rilassamento sono necessari per prepararlo a nuove emozioni. Poi la protagonista lo prende per mano e lo conduce in un immaginario viaggio tra i dolori e le bellezze della vita, passando per i desideri, le speranze, i ricordi. Il primo capitolo, Westerbork, è di facile lettura. “Guida e regolamento di Westerbork”, ad esempio, ripercorre esattamente “Guida e regolamento dell’Alloggio segreto” che Anne scrisse in clandestinità. Non mancano le arringhe, ancorché poste da un’adolescente fuori dal comune -mai ingenua e banale-, su cui tutti gli adulti dovrebbero soffermarsi a meditare. Posizioni sulle quali la protagonista sembra arroccarsi –in una polemica costruttiva- senza mai degenerare. Riflessioni –spiazzanti, ma non troppo- che potrebbero essere tranquillamente adattabili anche ai giorni nostri: sulla politica, sul matrimonio, la religione, l’uomo, la guerra. Una volta ad Auschwitz, Anne si lascia andare all’immaginazione. Nasce così il racconto del “Gatto Bruno”, direttamente collegato al già famoso 666, “numero della Bestia”. Anne che deve inventarsi un modo per tenere il conto dei giorni che passano o che s’improvvisa piccola artigiana per poter partecipare alle notti dei baratti. Pur se relegati in uno dei più terribili lager dell’Est, i suoi pensieri procedono sinuosi, in libertà, alla disperata ricerca di un approdo sicuro. Seguono anche dei momenti un po’ più duri, come la descrizione degli appelli, l’accoglienza, le punizioni, che, raccontati con gli occhi di un’adolescente, risultano smussati adeguatamente senza tradirne mai la crudezza e la realtà. Nell’ultima parte, Bergen-Belsen, la ritroviamo ripiegata su se stessa, ormai allo stremo delle forze, ma mai mentalmente doma. Anne cerca invano di rinchiudere in una sola cornice il bene e il male, sempre in attesa di risposte ai suoi tanti perché. E i suoi sogni riprendono fiato, pur se persi nel limbo della terribile prigionia. I pensieri sono un luogo magico: è in quella bolla che Anne si rifugia, cercando disperatamente di passare “dalla parte giusta dell’arcobaleno”, per salirci sopra, magari all’arrivo della primavera, per raggiungere Dio. L’incredibile seguito di “Una chiacchierona incorreggibile” è un’altra perla, –non una banale filastrocca- dove, in realtà, è rinchiusa tutta la storia di Anne e dell’Olocausto. Minuti di fantasia abilmente costruiti per tenere legati i fili di quelle profondissime riflessioni, ora irrefrenabili, ora più rilassate. Il destino ha preparato per lei un’ultima sorpresa: durante la prigionia riuscirà a incontrare perfino le sue amiche di scuola, Hanneli e Nanette, cui confida le pene e le sue attese per l’avvenire. Siamo al termine. E’ in questo momento che il testo raggiunge momenti di pathos autentico e coinvolgente. Ma nel libro non c’è mai spazio per il cupo pessimismo, poiché sempre controbilanciato da immensa fede e un grande amore per la vita. La freschezza emotiva della protagonista emerge incessantemente, ricca com’è di quell’enorme bagaglio di amore e buoni sentimenti, che sono stati tramandati dagli Hollander e dai Frank. Molto commovente la lettera tratta dal Diario di Margot Betti Frank che vale, da sola, l’acquisto del libro. «Lavorare su quelle “pagine bianche” è stato come cancellare il tempo e lo spazio. Partivo senza una rotta e senza una meta e cominciavo a riempire quegli spazi vuoti che si animavano con le geniali trovate di Anne e con le sue colorate intuizioni. Forse questo Diario è stato anche un mezzo per venire allo scoperto, per farmi ascoltare...» L’ultima preghiera è coinvolgente e calibrata. In precedenza, Anne sembrava essersi per la prima volta arresa; pareva che non ci fosse più spazio per una speranza ormai svuotata e disperata, che andava affievolendosi di pari passo con le energie fisiche dalla protagonista. Adesso, tuttavia, con quelle illusioni -che stavano per morire- la speranza risorge; la morte non è fuga e nemmeno libertà: è la soluzione, il punto di partenza per una nuova vita, fatta di luce, colore, immensità, amore. Così quelle mete da rincorrere, quei desideri da realizzare non svaniscono, ma si ricongiungono nell’Aldilà. “Le pagine bianche di Anne Frank” è il perfetto prolungamento di questi concetti, con cui l’autore, attraverso gli occhi della protagonista, mette in discussione gli uomini e la società e Dio è la destinazione ultima. Il finale, tenero e amaro allo stesso tempo, scorre veloce sulle corde delle emozioni. Inevitabile l’empatia con la protagonista; è quasi impossibile non lasciarsi sfuggire qualche lacrima. L’autore ci fa commuovere senza lasciare scampo; ed è giusto così: “Chi l’avrebbe mai detto? La “Ragazzina del diario” sta finalmente per smettere di scrivere. Che cosa rimarrà delle cose che ha fatto e di quelle che ha scritto? Sarà il futuro a dirlo e rimarranno solo delle pagine bianche che qualcun altro riempirà al posto suo. Forse davvero qualcun altro porterà a compimento il mio diario, dando un seguito alla mia storia.” Un capolavoro, nei tempi, nei modi, nelle idee e nella struttura del componimento. Un lavoro sì, ambizioso, partorito però con profondi e umili sentimenti. Chi l’ha scritto non vuole dimostrare niente, o, forse, solo che Anne Frank avrebbe mantenuto quel suo ottimismo nei confronti della vita anche dopo la prigionia. Solo i veri poeti sanno arrivare al cuore senza precipitare nella tragedia, mantenendone inalterati i toni. Un dipinto lessicale, un manifesto della gioia di vivere, nonostante tutto. Un intenso omaggio per non dimenticare. Uno di quei libri che prima ti avvolge e poi ti sconvolge; poi ti emoziona, ti turba e ti commuove. Uno di quegli scritti che resteranno per sempre.
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