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Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2010
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Vecchiaia, decadimento corporale, morte: questi i temi dell’Everyman di Roth. Temi affrontati anche in altre opere appartenenti alla fase tardiva della sua vasta produzione letteraria (gli stessi temi si ritrovano ad esempio anche nell’Animale morente), ma qui portati all’estremo, all’esasperazione. Forse il Roth più amaro e fatalista che mi sia capitato di leggere (questo è il mio quattordicesimo incontro con l’autore americano), e straordinario nella capacità di elevare ad universale una storia individuale, e di rendere proprie del lettore le vicissitudini, le paure e le angosce del suo protagonista. Scrittura magistrale, come al solito.
Straziante, probabilmente superiore a qualsiasi capacità di sopportazione. Un racconto - da leggere tutto d’un fiato - di rimpianto e di perdita, di fallimento e rassegnazione, ma anche di forte tensione vitale e profonda inquietudine, ancor prima che una spietata riflessione sulla mortalità della condizione umana. Roth, come sempre, denuda la storia e quindi il lettore, elevandone i turbamenti e dando voce alla tensione che preme negli occhi di chi segue le sue parole, come una dolorosa e straziante catarsi, alla quale non si ha la forza di sottrarsi. D'altronde, l’uomo (un ebreo nato nel 1933 e che viene sepolto in un cimitero nei pressi di Newark - ricorda qualcuno?) di cui conosciamo ora la vita attraverso la lente dell’approssimarsi della sua morte, di cui abbiamo scrutato quasi ogni intimo turbamento, è rimasto privo di nome lungo tutto il racconto. Non si tratta di una nostra distrazione, perché lui è Everyman.
Una riflessione sulla vita parlando di morte e di vecchiaia. Il libro di apre con un funerale, pretesto con cui il protagonista ci porta a riflettere, in pieno stile Roth, sulle scelte che ha fatto e che farà, rendendolo molto umano. Non l'opera migliore dello scrittore ma troviamo il suo stile più maturo concentrato in poche pagine rendendo il racconto molto intenso.
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