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Le ideologie, il pernicioso travestimento con cui le grandi civiltà della storia hanno reinterpretato il loro ruolo, sembravano definitivamente tramontate, dopo la caduta del Muro di Berlino. La fine della storia avrebbe dato luogo ta una civiltà pacificata, in progresso infinito, in cui le differenze sarebbero state solo un problema di gusti estetici o di inclinazioni sessuali. I conflitti si sarebbero definitivamente risolti col buon senso e con l’instaurazione di un’unica grande democrazia planetaria, e un grande mercato autoregolato avrebbe distribuito alle masse dei diseredati del mondo intero beni materiali e prosperità. L’immagine del mondo unito, pacificato e deideologizzato nell’ottica del liberal progresso è durata lo spazio di una primavera. Ma all’“apparir del vero”, qualche anno dopo, abbiamo avuto la Prima guerra del Golfo, l’11 Settembre 2001, l’invasione americana di Afghanistan e Iraq, un’ennesima guerra in Palestina Inoltre, la crisi economica ha messo in ginocchio le economie di molti Paesi che avevano cominciato a considerarsi “avanzati”, riducendo i loro governanti ai dilemmi propri del Terzo mondo, pagare o fallire e questo è solo l’inizio. L’etica esacerbata delle ideologie egualitarie del Novecento era stata volta in estetica, dottrina della percezione avalutativa della realtà. Ora il tempo dell’etica, e di converso quello dell’utopia, sembra di nuovo bussare all’orizzonte, per fornire nuovamente un Principio-Speranza. Marx, Nietzsche, ma anche un autore come Mannheim, tornano a fornire chiavi interpretative di un pensiero critico che una vulgata frettolosa dava per definitivamente superate.
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