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Roberto Bazlen non pubblicò nulla durante la sua vita. Eppure si può dire che sempre la sua vita ha avuto a che fare con i libri. Così l’immagine che per molti si è fissata di lui è quella di un infaticabile scopritore e suggeritore di opere, di autori. Ma basta aprire una pagina qualsiasi di questi suoi Scritti per avvertire che quell’immagine è parziale e sviante. Singolare non è tanto che apprezzasse e consigliasse quei libri (in fondo erano libri essenziali del nostro tempo, e solo in un paese di inveterata angustia culturale i suoi suggerimenti sono potuti apparire a lungo eccentrici); singolare è che una vita così viva (per lui il raggiungimento più difficile: «Un tempo si nasceva vivi e a poco a poco si moriva. Ora si nasce morti – alcuni riescono a diventare a poco a poco vivi»), che un’intelligenza così bruciante, che una limpida vocazione sciamanica sfociassero, come nella loro principale manifestazione pratica, in quell’attività del consigliare libri. Taoista (è l’unica definizione che gli si può applicare senza imbarazzo), Bazlen aveva imparato da Chuang-tzu che il sapiente lascia il minimo di tracce: quei libri di cui parlava e che consigliava erano le sue tracce. Per il resto, ciò che ha scritto è tutto una sequenza di «note senza testo»: annotazioni leggere, acuminate, narrative o aforistiche o epistolari, leggibili tutte come appunti per un’immaginaria scienza dell’autotrasformazione. Una scienza che, se esistesse, non si manifesterebbe in forma scritta; e, finché è immaginaria, si manifesta per scritto nel modo più discreto, quasi impercettibile.
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Curioso libro, che pubblica gli scritti di uno scrittore che in vita non pubblicò quasi nulla! In effetti Roberto o meglio Bobi Bazlen fu soprattutto un critico letterario. Lo lessi una quindicina di anni fa; di recente, ho provato a rileggere qualche pezzo qua e là, e ciò ha riconfermato la delusione che provai allora: Bazlen doveva essere bravissimo a parlare di libri, ma, per esempio, quando ne scrive nelle sue lettere editoriali mi sembra noioso, affettato, a tratti perfino superficiale (basta leggere ciò che dice di Thomas Kuhn). I suoi gusti esoterici inoltre mi lasciano del tutto freddo. Esistono forse, anche in gran numero, uomini dotati sia di raffinata cultura sia di fascino mondano, che possono far loro meritare fama sin che sono in vita: ma se la loro prosa è infelice, possono brillare di giusta luce soltanto nella memoria di chi li conobbe direttamente, sempre più fievole man mano che passano gli anni; e la loro ora di gloria è destinata dunque a passare molto più in fretta che per gli altri. Unica cosa che ho amato in modo intenso sono le pagine su Triste, veramente illuminano la città e riesce benissimo a ritrarre l'architettura ed il periodo novecentesco.
Trieste in cui sono nati geni letterari come Slataper, Svevo, Saba, non e' una citta' nota, semmai rischia di essere dimenticata ogni giorno, come il geniale Bazlen. Amico di Svevo, Saba e di Montale, cui diede una copia de "La coscienza di Zeno". Montale capi' che era un capolavoro, lo porto' a degli editori in Francia, dove Svevo venne subito pubblicato. In Italia, fu invece bandito da Mussolini: non raccontava l'uomo fascista, ma, in superficie, un inetto. Blazen conobbe Joyce quando questi insegno' inglese a Trieste, e lo promosse in Italia. Un testo che e' un tesoro per gli amanti della nostra letteratura migliore, che purtroppo si fatica a trovare perfino nelle biblioteche universitarie. Nonostante Blazen sia universalmente noto come generoso promotore di tanti talenti italiani all'estero ( per questo rinuncio' alla sua scrittura), egli non ha avuto alcun aiuto ne' riconoscimento dall'Italia, dopo che per fare questo mestiere aveva prosciugato il patrimonio di famiglia. Fini' la sua vita ingiustamente povero, in una camera ammobiliata.
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