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Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2010
Anno edizione: 2009
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La storia di un amore materno in un condominio della periferia francese dove non contano i legami di sangue e le tragedie della storia svaniscono davanti alla vita, al semplice desiderio e alla gioia di vivere. Un romanzo toccato dalla grazia, in cui l'esistenza è vista e raccontata con l'innocenza di un bambino.
«I romanzi irresistibili sono rari. "La vita davanti a sé", il capolavoro di Romain Gary, fa parte di quei libri che sconvolgono l'equilibrio affettivo del lettore» – Yann Queffélec
«Un romanzo toccato dalla grazia, l'esistenza vista e raccontata con l'occhio innocente di un bambino» – Stenio Solinas
«Gary scrive in una lingua chiara, aerea, energica, come in certe pagine di Hemingway...» – Jérôme Garcin, Dictionnaire de la littérature française du 20ème siècle
«Gary ha incarnato il mito stesso della seduzione» – Livres Hebdo
Il pomeriggio del 3 dicembre del 1980, Romain Gary si recò da Charvet, in place Vendôme a Parigi, e acquistò una vestaglia di seta rossa. Aveva deciso di ammazzarsi con un colpo di pistola alla testa e, per delicatezza verso il prossimo, aveva pensato di indossare una vestaglia di quel colore perché il sangue non si notasse troppo. Nella sua casa di rue du Bac sistemò tutto con cura, gli oggetti personali, la pistola, la vestaglia. Poi prese un biglietto e vi scrisse: «Nessun rapporto con Jean Seberg. I patiti dei cuori infranti sono pregati di rivolgersi altrove». L'anno prima Jean Seberg, la sua ex moglie, l'attrice americana, l'adolescente triste di Bonjour tristesse, era stata trovata nuda, sbronza e morta dentro una macchina. Aveva 40 anni. Si erano sposati nel 1962, 24 anni lei, il doppio lui. Il colpo di pistola con cui Romain Gary si uccise la notte del 3 dicembre 1980 fece scalpore nella società letteraria parigina, ma non giunse completamente inaspettato. Eroe di guerra, diplomatico, viaggiatore, cineasta, tombeur de femmes, vincitore di un Goncourt, Gary era considerato un sopravvissuto, un romanziere a fine corsa, senza più nulla da dire. Pochi mesi dopo la sua morte, il colpo di scena. Con la pubblicazione postuma di Vie et mort d'Emile Ajar, si seppe che Emile Ajar, il romanziere più promettente degli anni Settanta, il vincitore, cinque anni prima, del Goncourt con La vita davanti a sé, l'inventore di un gergo da banlieu e da emigrazione, il cantore di quella Francia multietnica che cominciava a cambiare il volto di Parigi, altri non era che Romain Gary. «Venti anni prima di Pennac e degli scrittori dell'immigrazione araba, ecco la storia di Momo, ragazzino arabo nella banlieu di Belleville, figlio di nessuno, accudito da una vecchia prostituta ebrea, Madame Rosa» (Stenio Solinas). È la storia di un amore materno in un condominio della periferia francese dove non contano i legami di sangue e le tragedie della storia svaniscono davanti alla vita, al semplice desiderio e alla gioia di vivere. Un romanzo toccato dalla grazia, in cui l'esistenza è vista e raccontata con l'innocenza di un bambino, per il quale le puttane sono «gente che si difende con il proprio culo», e «gli incubi sogni quando invecchiano».
Oggi vi consiglio "La vita davanti a sé" di Romain Gary, edizioni Neri Pozza. Momò è un ragazzino di 10 anni o forse 14, non lo sa bene e non sa neanche niente della sua vera famiglia sulla quale aleggia un mistero perché lui, insieme ad altri piccoli miserabili, vive in un fatiscente condominio insieme a Madame Rosa, un'ex prostituta scampata ai campi di concentramento la quale cerca in qualche modo di fare da mamma a quei bambini dimenticati, frutto del disonore. In questo luogo emarginato dalla società benestante vivono insieme e senza alcun pregiudizio persone di culture e razze diverse, i cui stili di vita forse sono un po' discutibili ma tutti con una straordinaria capacità di fare del bene. In fondo che senso ha la vita se non si ha qualcuno da amare?
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Libro molto bello, scorre veloce con le sue molte storie vere, profonde anche crude. Scritto molto bene, autore di grande rilievo. Da leggere.
Amicizia, amore e una penna leggera che sa portare dentro la storia e sa far immaginare pienamente gioie e dolori dei protagonisti; una lacrimuccia è scesa alla fine
Il racconto è molto intimo e tenero perché racconta, dal punto di vista di un ragazzo di dieci anni (o meglio, quattordici, ma lo scoprirete solo leggendo!), temi sociali e culturali molto forti: il rapporto tra questa anziana donna ebrea, Madame Rosa, che decide di crescere, sotto compenso, i figli delle prostitute, e uno di questi, Momò, un ragazzo arabo di origini algerine (un rapporto d’affetto decisamente molto più materno che materiale e legato al compenso che riceve); le difficoltà che vivono i gruppi etnici immigrati nelle periferie cittadine, dove, nonostante le differenze culturali, sociali e religiose, sono pronti ad aiutarsi e sostenersi a vicenda con quel poco che possono fare; il tema dell’eutanasia nella Francia degli anni ’70, con cui devono confrontarsi i nostri protagonisti quando Madame Rosa, ormai vecchia e affetta da una sclerosi celebrale che le procura episodi di catatonia, vorrebbe lasciare questo mondo senza continuare a soffrire e a far soffrire le persone intorno. Sotto quest’ultimo punto ho trovato davvero interessante il dialogo tra il protagonista Momò, che con gli occhi ingenui dell’infanzia vorrebbe che Madame Rosa possa accedere ad un percorso medico di eutanasia come da sua richiesta per non continuare a vivere più in queste condizioni, e il dottor Katz, che da adulto sa che la legge non lo consente anche se asseconderebbe volentieri le volontà della donna. Il libro mi è piaciuto, ma non mi unisco al coro di chi lo ritiene un capolavoro: la storia è innovativa e interessante, ma alcune situazioni appaiono troppo artificiose e paradossali. Il mio rimane un entusiasmo pacato, tiepido.
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