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Anno edizione: 2008
Anno edizione: 2012
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Nel dicembre del 1944 le truppe sovietiche avanzano vittoriose anche in Ungheria e posto l’assedio alla capitale Budapest sferrano l’attacco finale. Due giorni prima del Natale la venticinquenne Erzébet, braccata da mesi, trova fortunosamente un rifugio per il padre, un noto scienziato che i tedeschi e i fascisti ungherese vorrebbero uccidere unicamente perché l’uomo non ha scelto di stare dalla loro parte e dato che nelle dittature o si è con chi comanda, o in caso contrario si è considerati nemici, lui diventa un pericoloso antagonista, anche se a tutti gli effetti la sua scelta è stata di non collaborare. Sistemato il genitore, in pratica murato vivo in uno spazio angusto di una cantina in compagnia di alcuni altri ricercati, la ragazza attende la fine degli scontri nei sotterranei adibiti a rifugio della casa in cui abita, in mezzo a una moltitudine di persone che in quella promiscuità desiderano solo che tutto finisca presto. La vicenda non ha nulla di trascendentale, ma il romanzo ha un suo particolare valore per la grande capacità dell’autore di effettuare un’analisi psicologica approfondita dei comportamenti di individui costretti per giorni a stare a stretto contatto di gomito e con la paura di essere uccisi, magari da una delle tante bombe sganciate dagli aerei russi o da un proiettile della loro artiglieria. Ora dopo ora questa umanità impaurita manifesta gli effetti di un ancestrale terrore, proprio di chi è trepidante per la sua sorte, e se queste paure alimentano una tensione che consente alla gente di sopravvivere fra delusioni e speranze, pur tuttavia piano piano porta a un’assuefazione con la morte che sradica ogni pietà. Il mondo descritto da Marai non è quello di una società proletaria, ma, tranne per pochi componenti, è proprio della borghesia, avida e al tempo stesso pavida, una società che si trascina ora rassegnata, ora esasperata, ma che comunque non perde le sue caratteristiche distintive, in cui ognuno manifesta condiscendenza per ribadire il suo status, la sua superiorità. Eppure, nel trascorrere dei giorni, pigiati l’uno accanto all’altro, costretti nel fetore delle latrine comuni, poco a poco si allentano i freni inibitori, si appassisce, si diventa inerti come pecore rassegnate nell’imminenza della macellazione. E invece arriverà la liberazione, tanto agognata, tanto sognata, un istante di gioia e poi riprendono gli incubi, perché finita un’epoca se ne apre un’altra che ancora non è possibile conoscere. Sandor Marai ha ultimato la stesura di questo romanzo nel settembre del 1945, quando già da non pochi mesi la città era sotto l’occupazione sovietica e aveva sicuramente capito che questa opprimente presenza, se pur sotto altre vesti, si sarebbe protratta a lungo, fino a una nuova liberazione, con le inevitabili incertezze sul dopo. Da leggere, senz’altro.
Recensioni
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