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Una lunga tradizione critica ha posto tra i meriti di Marcel Proust quello di aver riabilitato, nella ricerca della verità, il gusto e l’olfatto, sensi abitualmente trascurati dalla cultura occidentale, sottintendendo implicitamente un ridimensionamento del ruolo della vista nel cammino verso il Tempo ritrovato. Tuttavia Proust non cessa di intessere la trama del proprio racconto con allusioni al mondo dell’ottica e della visione, impreziosendola con riferimenti insistiti alle arti visive per eccellenza, quali la pittura e la fotografia, che paiono suggerire allo scrittore un analogon della propria poetica. La vista non sembra dunque senso marginale nella Recherche. Seguendo una strada interpretativa aperta da Paul Ricœur, questo saggio si propone allora di pensare la possibilità di una “soluzione ottica” dell’opera di Proust, in cui Tempo e visione si svelino insieme, lasciandoci intuire l’impossibilità di ripensare l’orizzonte temporale senza ripensare, simultaneamente, quello visibile.
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