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Questo quarto tomo di Enten-Eller può considerarsi un testo del tutto nuovo per il lettore italiano. Qui, nella mirabile struttura dialogica dell’opera, assistiamo a un mutamento dei ruoli: non parla più la voce di A, l’Esteta, le cui divagazioni compongono la prima parte di Enten-Eller, ma quella di B, il giudice Wilhelm, portavoce dell’etico, che ad A replica con altro stile, con nuovi argomenti. E proprio a questo punto appariranno in definitiva evidenza due peculiarità di quest’opera geniale: innanzitutto la sua rinuncia alla voce unica che trasmette un unico pensiero, quale appartiene alla tradizione della filosofia moderna, per accedere invece alla pluralità delle voci che dicono molteplici pensieri, compresenti e ugualmente legittimi. La seconda peculiarità è quella di evitare la tematica classica della teoria della conoscenza per camuffarne gli interrogativi dietro occasioni che appartengono all’esistenza quotidiana: in questo caso la discussione sul matrimonio, qui difeso da B in una replica che in realtà è un nuovo capitolo dell’antica disputa fra l’immediatezza e la mediazione, fra il «vivere di preda» dell’estetico e la riflessione dell’etico. Ma questo camuffamento della metafisica nella vita quotidiana – vero senso di una «filosofia dell’esistenza» che qui mette alla prova per la prima volta le sue categorie –, permette a Kierkegaard anche un’altra impresa: condurre in parallelo una rinnovata, mordente critica di quell’epoca, la sua e la nostra, che «si dichiarò sia per l’amore in modo che venisse escluso il matrimonio, sia per il matrimonio in modo che si rinunciasse all’amore».
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