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«Quel che ci resta della letteratura romana è soltanto un cumulo di rovine, tanto ridotto, in confronto alla sua originaria estensione, quanto i ruderi del Foro romano attuale in confronto a quello dell’età imperiale. Questa realtà ci obbliga a porci la domanda: quali forze hanno agito nella conservazione o nella distruzione della letteratura romana?» Il terzo volume de Lo spazio letterario di Roma antica vuol rispondere all’interrogativo proposto da un grande della letteratura romana, Eduard Norden. Al momento stesso in cui il testo viene pubblicato, ne inizia il processo di trasmissione. I primi a decretarne la fortuna o la scomparsa sono i lettori contemporanei. Ma col passare del tempo, quando i destinatari diretti sono ormai lontani ed estranei, le vicende del testo diventano più complesse. A una lettura immediata si sostituisce una lettura mediata da interpretazioni esegetiche, atte a colmare la distanza temporale fra il testo e un pubblico che non gli appartiene; dalla tecnica allusiva, fatta di rimandi e suggestioni impercettibili, si passa alla pura citazione; alla funzione originaria del testo si contrappone la ricezione diacronica con slittamenti e riconversioni. A queste forze e interventi esterni, che sono le tutele o le condanne «di Stato», le iniziative private, le censure, i grandi mutamenti socioculturali tra Antichità e Medioevo, e tra Medioevo e Umanesimo. Riprendendo ancora un’immagine tratta, come quella del Norden, dall’archeologia, si può affermare che, a lettura ultimata, questo volume restituisce la testualità letteraria di Roma antica in una dimensione non illusoriamente compatta, ma «a frammenti di recupero», e assai più vera.
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