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Tra i poeti della cosiddetta “latinità argentea” che seguì la grande stagione della poesia augustea, Stazio fu uno degli autori più apprezzati, destinato ad avere una clamorosa fortuna durante tutto il Medioevo. Negli ultimi anni della sua vita, Stazio si dedicò a un poema, rimasto incompiuto alla sua morte, sulle gesta di Achille. Ma il suo è un Achille molto diverso da quello impetuoso e inesorabile consacrato dall’epica omerica: è un giovinetto che la madre Tetide, presaga del suo destino di morte a Troia, ha nascosto nell’isola di Sciro sotto vesti femminili e che lì scopre l’amore per la figlia del re, Deidamia. Stazio dà così vita a un poema dai caratteri decisamente originali, in cui motivi propri dell’elegia si intrecciano in un sottile gioco di ambiguità e chiaroscuri sentimentali ai tradizionali valori eroici. L’introduzione di Gianpiero Rosati guida il lettore a gustare nelle sue molteplici valenze culturali e poetiche quest’opera ancora poco conosciuta.
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