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Il modernismo demistificante e surrealista di Thomas S. Eliot si esplica vigorosamente in questi 433 versi composti negli anni 1921 - '22 e diventati, nel corso del tempo, talmente rinomati da costituire motivo d'ispirazione per poeti, scrittori e musicisti; alcune intuizioni eliotiane inoltre, prefigurano persino determinati aspetti aridi e prosaici della nostra società massificata del XXI secolo. Il nucleo centrale del poemetto, il tema che collega tutti gli argomenti, frammentari e disarmonici fra loro, si estrinseca nel contrasto tra la rievocazione allegorica di un passato mitico e fertile, pertanto identificabile con l'idea di vita, e la rappresentazione di un presente, vuoto e sterile dal punto di vista morale e spirituale, pertanto assimilabile al concetto di morte. Tale impostazione, che sottende comunque una continua prospettiva palingenetica in chiave fortemente simbolica, si svolge in cinque parti, in una commistione e rivisitazione di riferimenti letterari ( Baudelaire, Dante, Shakespeare ...), mitologici ( il Graal, il Re Pescatore, Filomela ...), religiosi ( Ezechiele, Buddha, S.Agostino ...), antropologici ( Weston, Frazer ... ), musicali ( Wagner...), tutti accuratamente citati dallo stesso Eliot nelle "Note", la cui lettura è indispensabile per un corretto approccio testuale. L' opera, estremamente interessante per le suggestive scelte lessicali, per le descrizioni dalle implicazioni polisemantiche, per i bruschi passaggi tematici e per gli aspetti ermetici, oggetto di molteplici e diverse interpretazioni, si configura come un distillato di poesia colta e sperimentale in cui una dissacrante critica sociale e un misticismo nostalgico si alternano e si compensano. In un quadro estremamente composito per situazioni e personaggi, si può evidenziare, seppur brevemente, un esempio emblematico, presente nella sezione denominata "Il sermone del fuoco" : nel clima metafisico e inquietante di una Londra degradata a città "infernale", spicca una sorta di alter ego del poeta, quel famoso Tiresia della mitologia classica ( figura-chiave nelle opere di Omero, Sofocle, Ovidio ... ) che però in questo contesto grottesco ha ormai perso la sua aura sacrale di vate per assumere invece il dequalificante ruolo di spettatore-narratore, capace solo di prevedere uno spoetizzante incontro fra due anonimi amanti, una dattilografa ed un impiegato, i cui grigi comportamenti piccolo-borghesi sono la quintessenza della banalità.
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