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Anno edizione: 1994
Anno edizione: 2014
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Bernhard scrisse per ultima questa parte dell’autobiografia che racconta i suoi primi anni, fino all’entrata nel collegio di Salisburgo. Ed è come se, tornando alle radici di angosce e orrori, egli raggiungesse uno stato di euforia, di leggerezza, di primordiale scoperta, altre volte celato o piegato alla lotta feroce con il mondo circostante.
Qui tutto comincia con un bambino di otto anni che si getta in una sfrenata spedizione in bicicletta. «Sarebbe stato del tutto contrario alla mia natura scendere dalla bicicletta dopo qualche giro; come tutte le imprese che iniziavo, anche questa la spingevo fino all’estremo». In questo bambino che si lancia con la bicicletta fino all’estremo c’è già tutto Bernhard. Ma in una versione più ariosa, di elementare felicità. Aspetto che ritroveremo anche nei ritratti mirabilmente nitidi del nonno, della madre e degli amici d’infanzia. Tutte le torture che il mondo tiene in serbo già si intravedono, si presagiscono o irrompono sulla scena (siamo negli anni del nazismo e della guerra) – ma anche, con grande naturalezza, l’irresistibile meraviglia del bambino davanti a una tazza di cioccolata calda, quando i nonni lo portano con loro nel vasto mondo, a pochi chilometri da casa.
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Mi ha doppiamente sorpreso questo quinto ed ultimo capitolo dell’Autobiografia di Thomas Bernhard. In primo luogo per la sovversione cronologica con cui l’autore sceglie di collocare l’infanzia dopo i precedenti episodi ambientati nell’adolescenza e nella giovinezza. Infatti, dopo avere seguito le tortuose meditazioni che accompagnano il giovane Bernhard nelle prime dure tappe della vita, al ginnasio (l’origine), all’avvio al lavoro (la cantina), alla malattia (il respiro) e al sanatorio (il freddo), all’inizio di questa quinta parte ci ritroviamo imprevedibilmente nei panni di un bambino di otto anni, come se la vita e il destino fossero tornati ad essere una pagina bianca. In “Un bambino” si riscontra anche qualcosa di nuovo: un’apertura, una disponibilità, a volte addirittura una compassione verso le figure umane (purché ovviamente non facciano parte degli apparati repressivi di cui sopra) che non mi sarei immaginato, soprattutto nei confronti dei reietti, degli emarginati e della gente semplice che il giovane Bernhard scopre nell’ambiente austero della campagna dapprima austriaca poi bavarese. Strabiliante libro, da leggere!
Parte dell’autobiografia di Thomas Bernhard ,questo lungo e drammatico monologo ci introduce con realistica crudezza nell’infelicità e nella solitudine di questo bambino, che è poi lui stesso. Ribelle ma capace di provare affetto e felicità, si scontra spesso con l’ottusità del mondo circostante, con l’ipocrisia della gente e della scuola, con le cattiverie gratuite dei compagni ma anche con gli orrori del nazismo allora trionfante. Ci sono comunque dei momenti magici quando, per esempio, parla dei nonni, i particolare del “nonno”, per lui l’unico essere al mondo capace di capirlo, un uomo superiore che gli insegna la forza e lo spinge a resistere ma anche a scoprire il mondo, a fare esperienze. Belli anche i momenti di vita vissuta in campagna tra i contadini, al contatto con gli animali e con la natura. Poi irrompe la società, la storia, la scuola e allora c’è il dolore, la cupa disperazione e una grande solitudine! Ma come può un bambino soffrire così? Leggendo queste pagine ti vengono le lacrime agli occhi ma anche una rabbia contro chi non capisce o non vuole capire la sensibilità, il bisogno di affetto e di comprensione di un bambino innocente
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