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Un connotato accompagna implacabile ogni rappresentazione spaziale dell’Italia meridionale nel nostro mondo contemporaneo: la perifericità.Implicita o esplicita che sia, prevale, a proposito del Mezzogiorno, l'idea di una faticosa distanza, di una qualche irrimediata marginalità, di una lontananza dal «centro», ovunque quest'ultimo venga ad essere situato. A ben vedere, la «distanza dal mondo» è forse una delle raffigurazioni mentali primarie, uno degli archetipi dell’universo meridionale contemporaneo, di certo la sua più forte metafora. Trasferita dal terreno spaziale a quello delle rappresentazioni allargate, la distanza infatti si fa «divario», e ancora, associata all'idea di una sua percorribilità nel tempo, diviene «lentezza», «ritardo», «arretratezza».Al tema della distanza si associa l'idea, pur essa intimamente radicata negli strati più profondi delle nostre rappresentazioni mentali, dell'attraversamento e del passaggio, del «transito». Privo ormai da tempo di una sua riconosciuta autoconsistenza, lo spazio meridionale diventa un accidente sulla via di una comunicazione tra i mondi esterni limitrofi; una barriera. Solo apparentemente questo insieme di raffigurazioni mentali contrasta con un altro luogo obbligato della nostra rappresentazione collettiva, e cioè con l'idea di una indiscussa, antica e perdurante centralità del Mediterraneo.Una centralità che ha attraversato tutta la sua storia, dalle vicende delle grandi civiltà che vi si sono affacciate in antico alla complessa evoluzione che lo ha visto teatro e fulcro del più vasto tra gli imperi, e poi terreno di contesa e di scontro tra le più grandi religioni, e ancora luogo cruciale di ogni corrente di traffico a lunga distanza, fino al tempo dell’avvento dell’età moderna.Mediterraneo al centro, dunque, e Mezzogiorno in periferia. La contraddizione, si è detto, è solo apparente.
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