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Cosi come il I libro, anche questo ti cattura nell'immediato, trama bellissima, descrizione dei paesaggi eccellente, sembra di stare li con i personaggi Forse il mio preferito dell'intera saga, che comunque consiglio vivamente a tutti. E' un libro che ti cattura già dalla prima pagina e non annoia mai. Tutti gli appassionati del genere dovrebbero leggerlo. Ne resteranno affascinati.
“L’imbrunire avanzava nel deserto e ambrava di violaceo le dune. Attutiva tutti i suoni come un fitto manto di velluto, e la sera era tranquilla e silenziosa.” Questo l’inizio, taciturno, un po’ enigmatico, profondamente intrinseco della natura di tutto il romanzo. Taita è l’anima del libro, servitore della regina Lostris, nonché suo amante, appassionato di indovinelli e di bao. Da tremila anni nel cuore dell’Africa, in Etiopia, pulsa la sua sfida ai posteri alla ricerca della tomba del grande faraone Mamose, sposo della regina. Abilmente Taita, sulla sua rudimentale scacchiera, muove Royan e Duraid, scopritori di dieci papiri da lui interamente scritti, lasciati in un cantuccio della tomba dell’amatissima regina. Royan, per metà inglese e per metà egiziana, aveva conosciuto Duraid quando era tornata dall’Inghilterra con un Dottorato di archeologia e aveva ottenuto un posto nel Dipartimento di antichità egizie di cui lui era direttore. Proprio Royan, accidentalmente, aveva rinvenuto i papiri su cui, lei e Duraid, hanno lavorato incessantemente per la loro comprensione. E ci sono riusciti, eccettuato il settimo: era l’enigma dell’autore, avvolto in strati e strati di allusioni così oscure da risultare incomprensibili dopo tanto tempo. Taita voleva che i rotoli fossero letti solo dall’amatissima regina. Sul fragile papiro egli aveva tracciato la via per raggiungere la tomba del faraone: una falda sotterranea di un terreno disseminato di segreti ed inganni. Ma l’appassionante sfida si rivela ben presto molto pericolosa, un tornado di bramosia e desiderio, un anelito all’immortalità … Porta all’assassinio di Duraid e Royan rischia di incorrere nella stessa tragica fine se non fosse per il prezioso aiuto di un nuovo attore di quest’avvincente scena: Nicholas Quenton-Harper con il quale combatterà la sfida fino in fondo. Raggiungeranno la valle dell’Abay e, arroccati sulle pareti della cava, ripercorreranno le stesse strade di Taita e solo agendo e pensando come lui arriveranno al tanto ambito traguardo. Capita raramente di essere tanto coinvolti in una lettura da volere che termini quanto prima per conoscere l’epilogo delle vicende e al tempo stesso che non finisca mai, rapiti dal susseguirsi degli avvenimenti in un turbinio di metafore, similitudini e descrizioni che rendono ogni pagina indimenticabile. Per me è stato un viaggio straordinario, un po’ rocambolesco, forse simile a quello di uno dei protagonisti, Nicholas Quenton-Harper, inghiottito nelle acque dell’Abay, senza respiro. Quasi ero lì, sulle tracce di Taita, a un passo dallo svelare il suo grande segreto. Come Royan, il mio cuore accelerava il suo battito quando un frammento dell’intricatissimo puzzle trovava il suo posto; ho percepito il gelido sapore dell’acqua quando Nicholas è stato trascinato via dalla corrente e ho sentito le mie gambe cedere quando loro, sfiniti, hanno superato i tortuosi percorsi fra le montagne. Smith, nel corso del romanzo, racconta di uno dei personaggi che, annoiato, si addormenta ancora con un libro in mano “di uno sfortunato autore”, come lo definisce lui, che non è riuscito ad attirare la sua attenzione: state certi che con questo libro, non vi capiterà. Mai. E con questo è tutto. Buona lettura!
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