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Anno edizione: 2013
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La qualità dell’album è alterna, va e viene ed è estremamente soggettivo il giudizio critico che se ne può dare. Potrebbe fare schifo in maniera incontrovertibile per gli adepti del death più moderno e tecnico, almeno quanto potrebbe piacere ai fanatici dell’old school. Personalmente trovo che Unborn rende meglio laddove la partecipazione dei musicisti è più ampia possibile, in modo da sfruttare tutte le qualità presenti: il carisma del cantante, la tecnica del batterista e le linee di chitarra, semplici e dirette. A tal proposito segnalo la doppietta Zombie Blood Curse – Decapitate. Al contrario, quando i cinque poggiano esclusivamente sulle capacità di Barnes, limitandosi a seguirlo passivamente, ecco che il sound comincia ad intiepidirsi e ad annoiare. Nell’insieme si può affermare che Unborn rappresenti un passo indietro rispetto ai trascorsi più recenti e, malgrado non lasci il segno, non tocca nemmeno il fondo, come invece capitò -illo tempore- con ‘13’, ineguagliabile schifezza in una discografia tutt’altro che impeccabile. Anche la registrazione non fa gridare la miracolo, però rende bene l’idea della musica che i cinque vogliono proporre. Concludendo, il giudizio del sottoscritto è quello di un album sufficiente e, nonostante ciò, comprenderei serenamente le ragioni più disparate, tanto se fossero di critica feroce, quanto se andassero nel verso opposto. Fatto sta che i Six Feet Under sono questi e, dopo diciotto anni di vita, è pacifico che si abbia tutto il diritto e l’onere di compiere le proprie scelte, così come di pagarne le conseguenze. Piaccia o meno, la personalità che i nostri hanno formato negli anni questa è e questa rimarrà.
Recensioni
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