"Atomic City" è il quarto album di Vincenzo Ramaglia, approdo di un lungo percorso di ricerca che comincia più di dieci anni prima ed è contrassegnato dai tre progetti discografici che precedono questa inaspettata svolta elettronica.
Nel 2007, la critica definisce il suo primo CD, "Formaldeide" (partitura per flauto, clarinetto, sax e pianoforte), come "luogo di incontro impossibile tra Coleman Hawkins e Salvatore Sciarrino" (Michele Coralli, Blow Up), nonché come un interessante tentativo - "colto e al tempo stesso accessibile, [...] antitetico a certo pop pianistico intimista e ruffiano con pretese contemporanee" (Vittore Baroni, Rumore) - di raggiungere un’ideale "‘medietas’, giusto compromesso tra piacevolezza e ricerca" (Daniele Follero, Sentireascoltare).
In merito al secondo CD, "Chimera" (2008, partitura per contrabbasso e loop station con improvvisazioni di sax e batteria), la critica parla di "coraggio e caparbietà", e di un "mirabile punto d’incontro allo zenith del cielo stellato del jazz intelligente e improvvisato e della musica nuova contemporanea" (Max Marchini, Rockerilla), di "estetica del contrasto" (Michele Coralli, Blow Up), di una "mutevole dissonanza tra figure libere e reiterative" (Vittore Baroni, Rumore), di una "unione tra elementi musicali di natura diversissima: il composto/interpretato e l’improvvisato, il predeterminato e l’imprevisto" (Zeno Gabaglio, Azione), di un "antidoto" in grado di fuggire "ogni banalità, ogni possibile strada facile, con singolare purezza d’intenti" e di "un disco ‘not for the faint of the heart’, ma che può essere letto con l’innocenza di un bambino, o la competenza di un saggio. Spesso la stessa cosa" (Max Marchini, Ondarock).
"PVC smoking" (2011), il suo terzo CD, è una "partitura IDM" con improvvisazioni, che combina elettronica, strumenti acustici (violoncello, clarinetto basso e sax), basso elettrico fretless. Secondo la critica, "muovendosi con coraggio da sempre lungo i perigliosi confini tra musica improvvisata e colta contemporanea, anni luce da diatonismi irritanti e new age vuote, il giovane compositore romano distilla un nuovo capolavoro" (Max Marchini, Rockerilla), attraverso "una schizofrenia che può probabilmente diventare anche nuova sinergia dell’ascolto" (Michele Coralli, Blow Up).
Dopo sette anni di riflessione, silenzio, costruzione e approfondimento di un setup elettronico senza computer, "Atomic City" è una sorpresa, un album finalmente nudo, privo di qualsiasi partitura, ma con un labirinto intricato di sequenze analogiche, composte sulle macchine come su un pentagramma, quasi in un ponderato contrappunto orchestrale, e manipolate in tempo reale dall’autore, a cui Renato Ciunfrini - già sax di "Chimera" e "PVC smoking" - stavolta reagisce con improvvisazioni clarinettistiche. In un certo senso, "Atomic City" è la terra promessa di tutte le peregrinazioni e le pause che lo precedono. La sintesi - inaspettatamente coerente ed esplosiva nel suo linguaggio inaudito - di un vasto campionario di urgenze apparentemente contraddittorie. E si tratta, per l’appunto, di PEM. Popular Experimental Music.
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