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Anno edizione: 2013
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Molte volte quando si parla di musica indipendente si passa all’insulto facile, è ‘indie’ diventa un sinonimo di piaga musicale dal quale stare il più lontano possibile. Mai pregiudizio fu più fallace. La musica dei Zen Circus sarà ai margini, sarà ‘roba da outsiders’, ma è tra le espressioni artistiche che più colgono i cambiamenti di un’Italia in crisi, con una base strumentale che non ha nulla da invidiare alle grandi produzioni anglofone. Qui magari per le orecchie più sensibili ci sarà qualche espressione volgare di non facile digestione, ma è tutto consono a una visione del paese amara e disperata, espressa nella maniera più espressiva e vitale possibile. Brani come “Canzone di Natale” e “L’egoista”, l’apparizione speciale di Nada in “Vuoti a perdere” è da applausi e i più feroci “Gente di merda” e “Andate tutti affanculo” sono epici inni rock, espressioni ancora adesso del degrado italiano al quale siamo arrivati oggi. Con la loro base di energia, umorismo e degrado gli Zen Circus potrebbero avere pure la stoffa per scrivere un lungometraggio degno della tradizione della commedia italiana. Ovviamente accompagnato da una chitarra feroce di quelle che lasciano il segno.
Ottimo
Forse molti speravano di essersi liberati degli Zen Circus, potendo in questo modo, rinvigoriti dal coronamento del raffermo sogno, tornare comodi nel torpore spegni-mente. Ma i tre pisani dal respiro internazionale proprio non ne vogliono sapere di mettersi un cerotto in bocca e questa volta non lasciano spazio a nessun tipo di fraintendimento, perciò leggetelo a chiare lettere il titolo di questo quinto album: “Andate tutti affanculo”. Sì, proprio così, schietto e senza mezzi termini, perché quando si arriva al limite e lo si supera, le cose vanno chiamate con il loro nome di battesimo. Qualificatela come retorica busker o fiabe disilluse, ma ascoltate tutto dall'inizio alla fine, in questi dieci pezzi ci sono le storie di ognuno, quelle vissute ogni giorno sotto i nostri occhi. Forse ci serviva qualcuno che ce le tirasse dritte in faccia per capirne il peso, ma finalmente eccole qui: cinicamente romantiche, reali, chiassose e leggere come un buon inno popolare sa essere, ci lasciano addosso quella peculiare sensazione postuma ad un colorito e necessario sfogo. Un cambiamento sostanziale, in questo “esodo” di massa, arriva con la scelta, dal naturale processo, di cantare interamente in italiano e poi poesia zen (circus) a volontà. Stilisticamente parlando, infatti, l'asse non si sposta molto dai precedenti lavori e ci divaricano le orecchie, sperando di arrivare al cervello, con quella specifica miscela che li ha distinti finora. C'è quindi il folk amalgamato all'energia rock yankee style, l'attitudine punk (nell'accezione propria del termine) dai lati cow ed una propria visione del cantautorato nostrano, esattamente come vuole la tradizione del gruppo, ma il tutto è filtrato sotto la nuova luce dei chilometri macinati e della rabbia accumulata da sprigionare. Questa volta puntano lo sguardo verso casa propria, tirando fuori un concept album sul male di vivere al tricolore, ma non con il fare di chi gioca ad indottrinare senza fare in concreto nulla, ma tracciando un lucido profilo veleno-beffardo della società di cui anche loro sono motore ed ingolfamento. Questi siamo noi insomma, prendiamone atto, magari cercando di migliorare le cose e se proprio vi riesce difficile non considerale solo canzonette, traete ispirazione almeno e... andate tutti affanculo.
Recensioni
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