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Recensioni Il pastore di stambecchi. Storia di una vita fuori traccia

Recensioni: 5/5
«La montagna mi ha visto nascere, mi ha nutrito, insegnato, curato. Così sono diventato il signore delle cenge rocciose, la sentinella dei valichi secondari e l’esperto delle morene nascoste: ho regnato su quel reame di sassi non perché era mio - ma perché gli appartenevo. La montagna mi ha concesso di starle insieme e io sono diventato il suo custode rispettoso, un pastore di stambecchi in tutte le stagioni.» «Esistono uomini che hanno ascoltato la montagna così a lungo da sentirne la voce. Quando poi questi uomini parlano, dopo una vita intera, è la montagna che parla attraverso di loro. Louis Oreiller parla con la voce della montagna e ascoltarlo riempie di meraviglia, ancora più che di nostalgia. » Paolo Cognetti «Dobbiamo essere grati a Irene Borgna per la delicatezza e la pazienza con cui ha saputo suscitare la fiducia di Louis, così da scioglierne la crosta rocciosa e ascoltarne non solo le parole, ma i battiti più profondi del cuore» ttL - La Stampa - Enzo Bianchi «Dobbiamo essere grati a Irene Borgna per la delicatezza e la pazienza con cui ha saputo suscitare la fiducia di Louis, così da scioglierne la crosta rocciosa e ascoltarne non solo le parole, ma i battiti più profondi del cuore» ttl – La Stampa - Enzo Bianchi «Il più bel libro di montagna che io abbia letto nell'ultimo anno» ROBINSON - La Repubblica - Paolo Cognetti Nella sua valle, sa il carattere di ogni canalone, di ogni balza di roccia. Riconosce le volpi, i camosci, le vipere, i gipeti. Può chiamare per nome ogni valanga. La montagna per Luigi Oreiller non è una sfida, né una prestazione. È la sua casa di terra e di cielo, un orizzonte a cui appartenere. Luigi nasce nella povertà e cresce con la guerra. Valdostano ma “anche” italiano, trascorre i suoi 84 anni a Rhêmes Notre Dame, venti comignoli rubati alla slavina al fondo di una valle stretta e dal fascino selvatico, su un versante Parco del Gran Paradiso sull’altro riserva di caccia. Da ragazzo, armato dalla fame, è cacciatore, contrabbandiere, manovale. Quando diventa guardiaparco e poi guardiacaccia, cambia sguardo. Dietro le lenti del cannocchiale, nelle lunghe solitarie giornate di appostamento ai bracconieri, diventa il signore delle cenge, segue il volo delle aquile e sperimenta un qualcosa di molto simile all’amore. Stagione dopo stagione, trasforma gli alberi in sculture, “scava” tassi e marmotte, parla con i cani, le mucche, le galline. A volte anche con gli uomini. Quello di Oreiller è un mondo ormai perduto, travolto da una modernità senza pazienza, da un fiume di gente che torna ma non resta. Eppure, nei suoi occhi, nelle sue mani nodose e forti, tutto ha ancora memoria e lui ha memoria di tutto. Le sue parole, consegnate a chi, come Irene Borgna, le sa ascoltare, conducono lontano, fuori traccia, tra valichi nascosti. E segnano il tempo, come gli anelli di un tronco, come i cerchi sulle corna di un vecchio stambecco. )
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