Un tema difficile, devastante al solo pensiero, figuriamoci viverlo sulla propria pelle. Claudia Mehler è il nome d'arte, quello scelto dalla coraggiosa mamma che ha deciso di scrivere questo libro per raccontare l'abuso sessuale subito sulla sua bambina di soli 7 anni. Lo fa, come dice lei stessa, per aiutarsi a superare il dolore.Sin dalle prime pagine sappiamo che nessuno verrà punito per quel reato così schifoso e ignobile che è stato commesso e questa è la cosa che fa più male.Mostra sopratutto la complicità del silenzio del paese, la codardia di conoscenti, insegnanti e amici che continuano a non voler né sapere né vedere.Un libro ben scritto nonostante Claudia non sia una scrittrice. La cosa che forse un po' mi è mancata sono state le emozioni. Per tutto il tempo ha prevalso in me la rabbia, quella rabbia che credo anche quella mamma ha provato e che forse uno scrittore avrebbe usato piu volte e forse devastandomi.Un atto di accusa contro chi volge lo sguardo altrove.
Alla fine resta l'amore
S. ha 7 anni, frequenta la scuola elementare in un tranquillo paesino, dove tutti si conoscono. È una bambina serena che vive in una famiglia serena. Un giorno sua madre la va a prendere a scuola un po' prima del solito. S. non è in cortile con gli altri compagni, una voce la chiama, S. spunta dall'androne, vede la mamma, allora raccoglie le sue cose e fa per raggiungerla ma poi torna indietro perché dice di aver dimenticato qualcosa, si dirige verso uno dei due bidelli e - imprevedibilmente - lo bacia. Questo libro racconta un abuso sessuale compiuto all'interno di una scuola, in un ambiente dove i nostri figli dovrebbero essere protetti. Chi lo racconta, sotto pseudonimo, è la madre della bimba che subisce violenza. Sotto forma di diario l'autrice narra l'incredulità e lo strazio che accompagnano la sua sconvolgente scoperta, i passi dolorosi che portano alla decisione di denunciare l'abuso, e poi il sospetto sui genitori di aver in qualche modo "guidato" la ricostruzione dei fatti, la sconfitta di non veder puniti i colpevoli. E soprattutto mostra la complicità del silenzio dell'intera comunità, la codardia di chi (conoscenti, insegnanti e amici) continua a non voler né sapere né vedere. Perché è opinione comune che i bambini mentono sempre, e se è sempre presunta l'innocenza dell'indagato, non lo è la credibilità della vittima di un reato sessuale. Un atto di accusa contro chi volge lo sguardo altrove.
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Anno edizione:2013
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Elena ronca 03 marzo 2017
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