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Anno edizione: 2022
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Quando scoppia l’estate, con il suo mix di lunghe ore di luce e di afa, è quasi inevitabile che chi ama leggere finisca con il dedicarsi a qualcosa di meno impegnativo, quale può essere un romanzo giallo. Infatti non si pretende molto, e cioè una trama con dei personaggi accattivanti, qualche colpo di scema e un finale con la scoperta dell’assassino di turno, il meno sospettabile in genere, purché rientri nella logica, in modo da trascorrere piacevolmente qualche ora. Ed è così che ho preso in mano un poliziesco del duo Guccini e Macchiavelli con l’inossidabile, e simpatico, maresciallo Santovito, da poco andato in pensione. Corrono gli anni ‘70, anni di piombo, e il piombo si spreca nei boschi dell’Appennino, che risuonano di colpi di mitra. C’è un morto ammazzato, un nuovo caso su cui indaga il successore di Santovito, il maresciallo Garbin, per territorialità investito dell’onere anche se in effetti chi conduce le indagini è sempre il neo pensionato. I morti si sprecano, la vicenda si complica, ci si inserisce anche il SID, in un minestrone in continua ebollizione e, tanto per non farsi mancare nulla, c’è una vicenda parallela, quella di Raffaella, la compagna di Santovito che lo ha lasciato per andare a insegnare negli Stati Uniti. Insomma tanta carne al fuoco con il rischio di bruciare la sostanza e il rischio ben presto si concretizza, complicando inutilmente una trama che se fosse stata ideata secondo i crismi di una semplice linearità non sarebbe stata niente male, ma che così diventa farraginosa e finisce nel peggiore dei modi portando alla luce un colpevole che a mio avviso è del tutto improbabile. E’ un peccato perché, se è vero che nel leggere ho ingannato un po’ il tempo, poi alla fine mi sono accorto di aver ingannato me stesso, di essermi illuso di di trovare una logica che non c’è. Ne deriva che per le prossime ore di caldo e di afa dovrò affidarmi alla penna di altri giallisti.
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