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«Mi fulmini Giunone, se mi ricordo di essere mai stata vergine!»
Giuntoci in forma lacunosa, il Satiricon racconta le vicissitudini del giovane Encolpio, del suo amante Gitone e dell'ambiguo amico Ascilto. Tra orge sacre e profane in templi e lupanari, banchetti infiniti – proverbiale la cena a casa del volgare liberto Trimalcione – e disquisizioni letterarie, il Satiricon si presenta come un vero e proprio romanzo "realista" per l'aderenza ai fatti della vita quotidiana e la descrizione precisa dell'ambiente e dell'epoca. La traduzione di Piero Chiara permette di rivivere in termini narrativi attuali una galleria di personaggi grandiosi e insieme infami, ma soprattutto autentici, oggi come nel I secolo d.C.
Introduzione di Federico Roncoroni.
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L'ho adorato.
Lasciamo da parte il fatto che sia lacunoso, a volte poco comprensibile, indubbiamente un po' sconcio. Il latino scoppiettante di Petronio (autore di cui peraltro sappiamo pochissimo, forse nulla) trascina in uno dei romanzi più dissacranti dell'antichità e in generale. Le assurde vicende amorose di Encolpio, che cerca di tenersi stretto l'amato Gitone e di distoglierlo dalle avances più o meno sfacciate di Ascilto, tratteggiano un'incredibile e sardonica società romana in decadenza, dove la ricchezza è tutto e questi giovani sono amebe debosciate senza futuro. Intanto, la trama è inframmezzata da momenti di poesia e in particolare dall'esilarante racconto della celeberrima cena di Trimalcione. L'accumulo di nomi di piatti, di descrizioni di oggetti, di cose, rischia di far venire il capogiro, in un romanzo che - più che una storia di sesso - è una gigantesca montagna russa. Così la vicenda che ha ispirato, con il suo tono immorale e scanzonato, molti autori, primo fra tutti Oscar Wilde, continua a suscitare riso e ammirazione per quella Roma allegra e vivida in cui c'era, tutto sommato, più leggerezza.
Recensioni
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