Indice
Le prime pagine del libro
Mi chiamo Margherita Pratts, ho ventisei anni e non ho combinato molto nella vita, almeno fino a oggi.
Vi chiederete perché scrivo queste pagine. Rispondo subito: per raccontare le indagini di un detective straordinario.
Si dice che quando ci si trova di fronte a un prodigio non ci siano parole per descriverlo. Questo libro nasce proprio per trovarle, le parole.
La prima volta che incontrai Saul Lovisoni fu nell’ottobre del 2014. Avevo un appuntamento e guidavo la mia Twingo vintage nella Bassa Parmigiana in mezzo al fango odoroso dei campi. I lampi rigavano le muraglie brune delle nuvole. La pianura, piatta come un tavolo da biliardo, costringeva però a curve tortuose che seguivano gli argini del Po. Umide balle di fieno sperdute nella campagna. I pioppi piegati dal vento.
“Ma dove caspita abita quell’uomo?”
Non era un gran periodo della mia vita e il clima padano contribuiva a tenere l’umore sintonizzato con la tristezza. La pioggia era un brusio sordo, il tergicristallo cigolava ritmicamente.
Alla radio davano la notizia della morte di un bambino di nove anni. Il piccolo Fabio. Lo aveva investito un pirata della strada, quella mattina stessa, su quelle stesse mulattiere piovose che stavo percorrendo. La spina dorsale si era spezzata in tre punti, così diceva il giornalista.
Fingeva di essere affranto, o forse lo era davvero. Il bambino aveva una madre e un fratello, che lo piangevano disperati. Il pirata, che guidava un grosso Suv, era riuscito a scappare favorito dalla scarsa visibilità. Allegria.
La notizia mi fece ricordare altri bambini che avevo conosciuto in Africa, dove seguivo un progetto per favorire l’istruzione primaria.
Tre mesi a Luanda, in Angola, mi avevano convinto che quella era la vita giusta per me. Invece, la ONG per cui lavoravo scomparve nel nulla, la solita truffa di fondi internazionali, e dall’oggi al domani fui costretta a fare le valigie. Ero tornata in Italia a malincuore, col desiderio struggente di rivedere quei mezzogiorni di caldo che franavano in un azzurro intenso, i bambini che schiamazzavano nell’aula, i denti splendenti come una finestra aperta in un mattino d’estate.
Il rientro non era stato facile. Mi ero accorta che la relazione con Leonardo si reggeva proprio sulla distanza. Aveva amato altre ragazze nel frattempo. Non lo allettava l’idea di rinunciarvi per il mio improvvido ritorno. Suonava in un gruppo Klezmer, e non era neppure ebreo.
Dopo due settimane eravamo ai ferri corti. Le mie spese per i prodotti biologici lo disturbavano. Minavano il bilancio famigliare, così diceva. A me disturbavano le sue spese per la marijuana.
Cominciai a dormire in salotto. Spinta dalla rabbia, non avevo considerato le conseguenze del trasloco. Leonardo aveva il vantaggio della serratura. Portava a casa le amiche e si chiudeva a chiave nell’unica camera da letto. Dovevo andarmene.
Così mi misi a cercare un lavoro.
Saul Lovisoni era famoso a Parma. Mi stupii di trovare un suo annuncio tra le pagine della “Gazzetta”. Di famiglia ricchissima, una laurea a Harvard in Diritto internazionale, contro ogni previsione aveva deciso di dedicare la vita a dar la caccia ai cattivi nella polizia della sua città. Dopo aver risolto alcuni casi mirabolanti, aveva scritto un romanzo giallo da un milione di copie. E poi? Poi niente. Si era chiuso in un silenzio che durava da cinque anni. Si diceva che fosse strambo... “Fuori come un balcone”, questa la formula esatta che si usava a Parma... Be’, anche l’annuncio era strambo, così mi rivolsi a proposte lavorative più “normali”.
Per due settimane feci la banconiera in una birreria. L’umanità ai minimi termini. Quando il proprietario decise che era arrivato il momento di palparmi, decisi che era arrivato il momento di andarmene. Tra l’altro, scalava dalla paga le birre bevute durante il servizio. A fine giornata non mi restava quasi nulla.
Nella stanza di fianco, Leonardo continuava ad accordare le sue amiche da vero musicista. Una delle ragazze, Donatella, suonava che era una meraviglia. Gli urletti salivano e scendevano come scale armoniche. Che fosse vero amore?
Tornai a spulciare tra le pagine della “Gazzetta”.
C’era ancora l’annuncio di Saul.
“CERCO UNA SEGRETARIA CHE SAPPIA LEGGERE. LAVORO DI INVESTIGAZIONE E DI ARCHIVIO.”
“Che sappia leggere”? Cosa significava? Decisi di andare a scoprirlo.
Così chiamai. Saul rispose sbrigativamente dandomi un’ora, un giorno e un indirizzo. Attaccò senza salutare. Se quello era lo stile, il colloquio sarebbe durato una manciata di secondi.