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Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2015
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Sembra una mattina come tante a Londra. Stephen Lewis, affermato scrittore di libri per l’infanzia, come spesso accade esce a fare compere con la figlioletta di tre anni Kate. Questa volta però tornerà a casa senza di lei. Un solo attimo di distrazione durante una banale operazione di pagamento alla cassa del supermercato è infatti fatale: l’uomo si volta e non vede più la piccola. Kate è sparita, volatilizzata. A nulla serve l’intervento delle forze dell’ordine, vani sono tutti i tentativi di ritrovarla. Un’evento nefasto che inevitabilmente avrà strascichi negativi sulla vita dell’uomo e su quella della moglie Julie. I due coniugi verranno travolti da un indicibile dolore cui reagiranno in maniera diversa, lui impegnandosi con tutte le sue forze in disperati quanto inani tentativi di ricerca, lei abbandonandosi ad una cupa ed indolente solitudine. Ad un certo punto la separazione apparirà inevitabile, ma il tempo saprà rimarginare la ferita. McEwan racconta il lato sentimentale e psicologico di un dolore straziante come può essere quello che nasce dalla perdita di un figlio, entrando nella mente dei protagonisti ma tenendo sempre un certo distacco, una sorta di freddezza, di cinismo, che se da una parte limita l'empatia dall'altra evita di cadere in facili e mielose drammatizzazioni. La storia è raccontata attraverso continui salti temporali, passato, presente e futuro si intersecano e si confondono, la maturità si scontra con l'infanzia ora vincendo ora soccombendo e ricordandoci del bambino che si cela dietro ogni adulto. McEwan non risparmia poi frecciatine velenose alla politica Thatcheriana dell'epoca e alla società britannica in generale. Non mancano i luoghi comuni, alcuni passaggi possono risultare scontati e lo stile non è dei più virtuosi, ma i contenuti sono di valore e importante appare il messaggio finale che invita a non abbattersi troppo nei momenti difficili, a non annullarsi nel dolore, perchè potrebbe sempre arrivare un'occasione buona per rialzarsi e rinascere.
La letteratura inglese è maestra nel raccontare l' infanzia. E McEwan non smentisce la tradizione dalla quale proviene. Chi è, però, il vero bambino? la bambina di Stephen che sparisce dal supermercato, o il suo amico, che preferisce vivere la vita nella casa sull' albero? Un romanzo dalla trama semplice, come un romanzo giallo, ma come questo genere va a braccetto con il mistero. Per l' autore il mistero siamo noi ed il nostro divenire. Egli ci pone davanti ad un interrogativo, che in fondo non è che il messaggio e lo scopo del romanzo: conosciamo davvero che cosa significhi il temine "bambino"? Fonte inestimabile di guadagno per l' economia del nostro tempo, i bambini sono degli impareggiabili consumatori, proprio come avviene per gli adulti, senza poter godere degli stessi diritti. Bambino quindi non è oramai più un' età della vita, ma un termine abusato per etichettare chi è diverso. Il personaggio di Charles, che da solo vale il giudizio di capolavoro a quest' opera, rappresenta, al contrario, la volontà di restare bambino pur essendo nell' età adultà, attuando la propria resistenza alle convenzioni sociali. Egli non scimmiotta i bambini, ma rimane tenacemente legato alla sua parte d' identità fanciullesca. Resta giovane nelle movenze, ma non nel corpo, che invecchia. Resta bambino nello spirito, perché è lui che si costruisce il rifugio sull' albero. Un romamzo potente e liberatorio, il cui intento può essere compreso a fondo facendo attenzione agli incipit di ogni capitolo, che McEwan ha scelto dal "Manuale per l' educazione del bambino", per il quale l' infanzia può essere paragonata ad uno stato di "malattia".
Un romanzo la cui lettura non è né facile né scorrevole, ma che sicuramente non delude i lettori di McEwan. Scrittura che, come al solito, richiede un impegno particolare ad andare avanti, per poi suscitare a poco a poco forti emozioni e profonde riflessioni. Il romanzo affronta alcuni temi particolarmente cari all'autore: la dimensione soggettiva del tempo, l'infanzia perduta e ritrovata, le difficoltà del rapporto di coppia, l'incomunicabilità di certe particolari condizioni psicologiche, il dissidio tra l'immagine pubblica di sé (la sicurezza e l'efficienza dell'età adulta) e la fragilità del proprio io interiore (l'impossibilità di superare mai del tutto il bambino che c'è in noi). Detta così sembra un'impostazione estremamente concettuale. La narrazione invece assume piuttosto a tratti un carattere onirico e visionario. È attraverso attimi di visionarietà che il protagonista diviene partecipe di verità che gli aprono uno squarcio nel tessuto impermeabile del tempo e gli rivelano verso la fine la via di uscita da una situazione di empasse esistenziale, creando una continuità generazionale tra le proprie vicende e quelle degli anziani genitori. Il racconto del percorso interiore del protagonista nell’elaborazione del lutto per la scomparsa della propria bambina, l’incapacità di rassegnarsi ad una perdita che non può essere data come definitiva, rivela tutta l’inconsistenza delle certezze sulle quali ciascuno di noi costruisce la propria identità di individuo maturo, barricandosi dietro priorità fittizie, ed ostentando una padronanza di sé e dei propri sentimenti che in realtà non è che una parvenza di stabilità, quando invece la nostra psiche si mantiene in un perenne oscillare tra attimi di lucidità e follia in un equilibrio precario tra normalità e alienazione. E mentre il nostro protagonista tenta faticosamente di uscire dal vuoto esistenziale e di sfuggire al suo pericoloso retrocedere ad una condizione infantile di totale indifferenza agli obblighi sociali e obiettivi personali, mentre il suo matrimonio va lentamente alla deriva e i giorni si trascinano stancamente dietro occupazioni oziose e prive di interesse, l’amico ed editore Charles Darke, cerca nell’infanzia uno stato di realizzazione superiore, l’onnipotenza dell’assoluta mancanza di responsabilità, la gestione spassionata e spensierata del proprio tempo. Sono personaggi che hanno smarrito, in maniere diverse, il senso di appartenere all’età adulta e ai suoi cerimoniali, affiancati da donne energiche e consapevoli, che finiscono per ricoprire immancabilmente il ruolo di madri: solo la consapevolezza di essere responsabili di un altro individuo più debole potrà restituire significato al loro agire e al loro ruolo sociale. La capacità di McEwan di anatomizzare e dissezionare la realtà sociale, politica, psichica, si manifesta quanto mai acuta in questo racconto a metà tra lo psicologico e il metafisico, che non può fare a meno di lasciare il lettore inquieto e turbato.
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