Il protagonista, Saraccini, è un giovane cresciuto all'interno della ditta fino ad arrivare ai massimi livelli. Quando gli viene offerta la co-dirigenza (al fianco dell'ingegnere Sommersi Cocchi, alter ego di Carlo De Benedetti) i suoi principi culturali lo portano prima a rifiutare e poi a licenziarsi, nell'impossibilità palese di mettere in pratica le sue idee riformiste. Entra così in contatto con il Dottor Astolfo (Umberto Agnelli) e di Donna Fulgenzia (Gianni Agnelli) che lo vorrebbero come direttore del personale. Mi fermo qui per non rovinare la sorpresa, anche se la trama è di sicuro la parte meno impressionante di quest'opera. Quello che davvero colpisce è lo stile di Volponi, che ricorda Gadda e Bianciardi per densità, ricchezza linguistica, libertà, fantasia e lucidità di analisi. Una scrittura straripante, che diventa in alcune parti poesia, in altre riflessione filosofica, sempre attraversata da una caustica e pungente chiarezza di visione, capace di ridere (o di sorridere) di tutto e di tutti (da questo punto di vista notevoli le parti in cui gli oggetti e gli animali diventano i narratori, facendoci conoscere i segreti dei dirigenti e rappresentando allegoricamente le dinamiche umane interne all'azienda). L'amarezza di fondo, che percorre tutto il libro, è così stemperata da uno stile immaginifico e arguto. La lettura dell'opera, già non facile a causa di questa profondità verbale e di pensiero, è ulteriormente complicata da uno svolgimento temporale non sequenziale che riesce a elevare ulteriormente il testo portandolo verso il surreale e l'astratto, al prezzo di un certo spaesamento.
Le mosche del capitale
Il personaggio di Bruto Saraccini è l'estrema proiezione autobiografica di Paolo Volponi, scrittore e manager di vertice (prima alla Olivetti, responsabile del personale e delle relazioni aziendali, in seguito alla Fiat, da consulente), cosi come Le mosche del capitale, edito da Einaudi nel 1989, è tanto un drammatico bilancio personale quanto l'allegoria di un universo in frenetica trasformazione. Oggetto del romanzo è il collasso dell'industria quale bene pubblico e base dello sviluppo democratico del Paese, è il nuovo ordine politico-economico che privatizza i profitti mentre socializza i costi della sua illimitata voracità, è infine l'era del capitale finanziario che trionfa su qualunque attività, quasi disponesse di una propria metafisica e di un dispositivo di legittimazione teologica. Allievo e collaboratore di Adriano Olivetti, cui il libro è dedicato, lo scrittore intuisce che il rapporto fra l'industria e la Polis si è definitivamente chiuso; amico e compagno di via di Pasolini, è costretto a riconoscere che ogni potenziale di Progresso si è tradotto nella pura dinamica dello Sviluppo, quasi che l'obbligo ai consumi avesse surrogato la democrazia. (Dalla prefazione di Massimo Raffaeli)
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Anno edizione:2010
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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Upallow 10 febbraio 2023Notevole da ogni punto di vista
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Franco Borasi 10 marzo 2017
Ho lavorato all’Olivetti e vissuto ad Ivrea e questo scritto, romanzo e poesia insieme, mi hanno riportato a quel mondo ed a quei tempi. La parabola del manager descritto da Volponi – dialetticamente attratto dalle due grandi aziende piemontesi, Olivetti e Fiat, è del tutto coerente con la dinamica del capitalismo industriale e delle sue storture; pochi libri della nostra letteratura hanno trattato con pari valore il tema del connubio tra industria e grande scrittura Ciò che però è assolutamente distintivo è l’approccio poetico e simbolico; gli oggetti e gli animali parlano e commentano, così come viene descritta con poesia la natura, le relazioni umane, i sentimenti.
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tonino capoccioni 07 settembre 2016
Lo sto ancora leggendo ma è un fuoriclasse
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