«Conobbi Lima quando entrai a far parte della "grande famiglia" (si fa per dire) della Democrazia Cristiana... ritenevo che tutti i democristiani credessero in Dio e che applicassero rigorosamente i dieci comandamenti. Sono stato subito deluso e arrivai alla conclusione (se vogliamo arrogante) che io ero di gran lunga migliore di loro. Tuttavia... mi trovavo nel "ballo" e continuai a "ballare"...». E' in queste parole che possiamo riassumere la filosofia politica di quello che è stato il connubio naturale dell'abbraccio mortale tra mafia e potere, letteralmente «il capo di un clan», garante di "un'equa lottizzazione" in cui il segreto era l'arma più potente: Vito Ciancimino, alias don Vito da Corleone, ai posteri assessore ai lavori pubblici ed ex-sindaco di Palermo. Relazioni segrete, occulte e ambigue tra Stato e Cosa Nostra, raccontate attraverso gli occhi del figlio Massimo, spettatore obbligato e testimone diretto delle esperienze del padre-padrone. Amico fraterno di Bernardo Provenzano, che sarà sempre al suo fianco (in totale libertà), la mafia per don Vito rappresentava un condizionamento ambientale che faceva parte del gioco e che, "come il leone nella giungla", non era possibile aggirare. La base su cui poggiava il suo immenso sistema clientelare stava proprio nella grande facilità di accesso ai "grandi bazar" di Cosa Nostra. Sullo sfondo di una società infettata, una "Palermo da bere" in cui il Palazzo di Giustizia era un mausoleo immobile, ne viene fuori un ritratto infelice della realtà, quasi sfiancato ma altrettanto chiaro su argomenti ancora attuali: «Neanche mi sento colpevole per le tangenti, perché io le ho avute e le ho contabilizzate ai miei referenti politici che era lo Stato. Lo Stato funzionava così e lo sapevano tutti, dai presidenti della Repubblica a scendere». Un sistema esteso di illegalità, in cui non ci sono eroi, che rende tutti uguali e in cui la politica rivendica il diritto al finanziamento illecito: insomma, quella moda del "se così fan tutti il reato non c'è più" che in seguito verrà fuori dal famigerato discorso autoassolutorio di Craxi in Parlamento. E tutto questo prima dell'esplosione di Mani Pulite. Un viaggio dissacrante, ad ampio raggio, nella storia del Paese, confidenziale e alternativo a quello ufficiale: a partire dalla nascita di Milano 2, attraverso i conti segreti dello Ior e della corrente politica andreottiana in Sicilia, passando per le stragi del '92 e la "Trattativa" tra Stato e Cosa Nostra (con il suo "papello"), fino ad arrivare alla fondazione di Forza Italia e al ruolo (mai confinato) di Marcello Dell'Utri. Sullo sfondo la perenne e inquietante presenza dei servizi segreti. Un racconto nitido e a tratti sarcastico della storia mafiosa dell'ultimo ventennio, caratterizzata da un'inedita trama riscoperta recentemente, che incuriosisce e lascia parlare. Sulle stragi del '92 il giudizio più duro di don Vito, «questo è terrorismo, non è mafia». Sullo sfondo la perenne e inquietante presenza dei servizi segreti. Un racconto nitido e a tratti sarcastico della storia mafiosa dell'ultimo ventennio, caratterizzata da un'inedita trama riscoperta recentemente, che incuriosisce e lascia parlare. Sulle stragi del '92 il giudizio più duro di don Vito, «questo è terrorismo, non è mafia». Una strisciante convinzione del fatto che c'era chi soffiava sul fuoco per tenere alta la temperatura e non disinnescare "la pistola che Riina teneva al posto della testa". Troppo scomode al palazzo (quello "grande") le indagini di Falcone, che «si muoveva come se fosse stato incaricato di formare un nuovo governo della Repubblica... per questo ha preoccupato tutti, ma soprattutto quella parte del potere politico che diffidava di lui e dei suoi padrini (Andreotti e Martelli certi, e gli altri? Non so)». Lapidario su Andreotti, che "ha subìto e sa quanto pesa" ed "è tanto capace a TUTTO che è capace di TUTTO". Forse l'unico politico mai intercettato nelle sue conversazioni, sconterà quasi dieci anni di vita in carcere. Agli arresti domiciliari, morirà misteriosamente, solo e malato, nella sua casa romana. (www.giovannideluca.net)
Don Vito. Le relazioni segrete tra Stato e mafia nel racconto di un testimone d'eccezione
Un viaggio senza ritorno nei gironi infernali della storia italiana più recente. Quarant'anni di relazioni segrete e inconfessabili, tra politica e criminalità mafiosa, tra Stato e Cosa nostra. Perno della narrazione è la vicenda di Vito Ciancimino, "don Vito da Corleone", uno dei protagonisti della vita pubblica siciliana e nazionale del secondo dopoguerra, personaggio discutibile e discusso, amico personale di Bernardo Provenzano, potentissimo assessore ai Lavori pubblici di Palermo, per una breve stagione sindaco della città, per decenni snodo cruciale di tutte le trame nascoste a cavallo tra mafia, istituzioni, affari e servizi segreti. A squarciare il velo sui misteri di "don Vito" è oggi un testimone d'eccezione: Massimo, il penultimo dei suoi cinque figli, che per anni gli è stato più vicino e lo ha accompagnato attraverso innumerevoli traversie e situazioni pericolose. Il suo racconto riscrive pagine fondamentali della nostra storia: il "sacco di Palermo", la nascita di Milano 2, Calvi e lo Ior, Salvo Lima e la corrente andreottiana in Sicilia, le stragi del '92, la "Trattativa" tra pezzi dello Stato e Cosa nostra, la cattura di Totò Riina, le protezioni godute da Provenzano, la fondazione di Forza Italia e il ruolo di Marcello Dell'Utri. Attualmente la testimonianza di Massimo Ciancimino è vagliata con la massima attenzione da cinque Procure italiane e non è possibile anticipare sentenze. Una vera e propria epopea politico-criminale per troppo tempo tenuta nascosta.
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Autore:
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Editore:
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Collana:
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Anno edizione:2013
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Formato:Tascabile
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GIOVANNI DE LUCA 02 agosto 2010
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