Un’Italia che ha esigenza di accrescere il potenziale di crescita , deve decidersia trovare risposte adeguate a queste sfide: “l'aumento della concorrenza, particolarmente nei servizi, il miglioramento della qualità dei servizi pubblici e il ridisegno di sistemi regolatori e fiscali che siano più adatti a sostenere la competitività delle imprese e l'efficienza del mercato del lavoro” (dalla lettera della BCE, 5 agosto 2011); nel contempo deve valorizzare le capacità, l’impegno e il merito individuale. Deve quindi anche interrogarsi senza preconcetti su come governare l’istruzione universitaria. Un’interessante proposta che definirei “tecnica”, ispirata ad equità, è quella formulata da Andrea Ichino e Daniele Terlizzese in “Facoltà di scelta” (Rizzoli 2013), che si accompagna a diversi loro interventi pure sul web (cfr. www.lavoce.info). In sintesi, facendo leva su analisi e dimostrazioni quantitative, viene sostenuto come: i costi (pubblici) dell’università gravano in misura percentualmente maggiore sui ceti a minor reddito(e per quota meno fruitori dell’università), tramutandosi quindi in un sistema à la “Robin Hood al contrario e sprecone”; il sistema di finanziamento, basato in via prevalente su fondi pubblici (aldilà della economicità di gestione) sono allocati in maniera inefficiente (da cui fra l’altro la moltiplicazione dei corsi di laurea negli anni passati) e secondo meccanismi che non incentivano la ricerca. Quindi la proposta di intervenire mediante lo strumentario della finanza, in modo (positivamente!)creativo perché al servizio degli studenti – anche se di per sé non in grado di azzerare le diseguaglianze nelle prospettive di successo con i ragazzi provenienti dalle famiglie più abbienti - e incentivante la concorrenza al miglioramento della qualità dell’offerta universitaria. La proposta si incardina su un sistema di borse di studio (se ne stimano 50.000) tali da assicurare la copertura delle spese complessive per l’intero percorso di studi e da restituire in funzione – per durata e ratei - dell’evoluzione redditi futuri percepiti (creando un link fra costi della formazione superiore e benefici individuali); nel contempo le Università che aderiscono alla proposta potrebbero contare su maggiori fondi – non gravanti sul bilancio pubblico bensì da rette accresciute - per una offerta di eccellenza, perseguibile se riconosciuta loro una adeguata autonomia per la scelta di docenti e programmi (mentre resterebbe l’attuale meccanismo per le Università/ Corsi di laurea non aderenti). Per l’erogazione dei fondi – che anticiperebbe la Cassa Depositi e Prestiti - verrebbe coinvolta la mai entrata in esercizio Fondazione per il Merito varata con il D.L. 70/ 2011 con la finalità di favorire i più bravi studenti (ipotizzando un sistema di borse studio per quanto in linea con buone prassi, di tenore comunque meno articolato ed elastico rispetto a quello in esame ma comunque senza prevedere modifiche sull’offerta universitaria (cfr.: http://www.dt.tesoro.it/it/progetti_speciali/fondazione_merito.html ), che è invece l’altra necessaria gamba per promuovere talento individuale e innovazione a livello di sistema. Una proposta tecnicamente coerente, senza impatti sul bilancio pubblico ma a somma sociale netta positivae dall’afflato propulsivo quella di Ichino e Terlizzese, che una politica priva di paraocchi di parte dovrebbe quantomeno discutere.
Facoltà di scelta. L'università salvata dagli studenti. Una modesta proposta
Le parole d'ordine più abusate dagli italiani? Meritocrazia e concorrenza. Dai banchi del parlamento o dal bancone di un bar c'è spesso qualcuno che le pronuncia a sproposito. Eppure è raro vederle praticate, tantomeno nel campo in cui avrebbe più senso farlo: l'istruzione superiore. Ci siamo abituati a uno Stato paternalista e sprecone, che preleva dalle tasche di tutti per fornire un servizio riservato a pochi. A molti sembra giusto così. Sembra equo che le tasse di un intero Paese finanzino l'università, anche se la stragrande maggioranza dei ragazzi provenienti da famiglie modeste non ci metterà mai piede. Così che i poveri finiscono col pagare un futuro migliore per i figli dei ricchi. In questo libro Andrea Ichino e Daniele Terlizzese propongono un ripensamento del sistema universitario che nei dibattiti tra addetti ai lavori ha già fatto scalpore: non un nuovo terremoto, ma una graduale iniezione di concorrenza. Spazi di autonomia per scegliere docenti e programmi, creare corsi di eccellenza e attrarre i migliori; maggiori risorse, raccolte con rette universitarie più alte per chi le può pagare; possibilità per gli studenti di finanziarsi attraverso un sistema di prestiti. Diversi da quelli tradizionali, però: da rimborsare, con meno rischio, solo dopo aver trovato un lavoro e in proporzione ai redditi futuri. Un modo per dare più risorse a chi davvero se le merita: le università capaci di offrire un'istruzione con valore reale e non solo legale.
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Anno edizione:2013
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