Commedia apparentemente semplice, ma in realtà notevole carica di sarcasmo nel finale, durante il quale uno dei personaggi finge di avere cambiato le proprie idee in merito all'educazione dei figli...e si prende la sua vendetta col fratello liberale adottando il suo stesso comportamento permissivo e generoso.
I fratelli. Testo latino a fronte
Adelphoe, i fratelli. E di fratelli, in questa che è l'ultima delle commedie di Terenzio, rappresentata verso il 160 a.C., ce ne sono ben quattro, divisi in coppie simmetriche: la generazione anziana e quella giovane. Dei giovani, Ctesifone è stato allevato in campagna, con metodi all'antica, dal padre Demea, mentre Eschino è cresciuto in città sotto la guida indulgente e comprensiva dello zio Micione. Tema portante della commedia è proprio il confronto tra i due differenti modelli di educazione e di vita. E se gli intrighi amorosi dei giovani mostreranno che la severità non dà frutti migliori della dolcezza, il matrimonio finale del tranquillo Micione sembra adombrare l'assoluta relatività di ogni sistema di valori. L'introduzione di Dario Del Corno arricchisce la lettura del testo illustrando gli aspetti strutturali e stilistici del teatro terenziano.
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Edizione:2
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Anno edizione:1987
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Kicco 26 luglio 2024Commedia apparentemente semplice
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GIANLUCA COGONI 17 dicembre 2011
Dai biografi antichi (Svetonio su tutti) sappiamo che Publio Terenzio Afro nacque a Cartagine nel 185-4 a. C., venne condotto a Roma come schiavo, fu vicino al circolo degli Scipioni, fautori, a Roma, della cultura ellenistica e morì nel 159 a.C. Curiosamente, mentre le notizie biografiche sono giunte frammentarie e in parte inattendibili, il corpus delle commedie si è trasmesso integro. Esse sono sei e l'ultima è "I fratelli" (rielaborazione dell'omonima commedia del greco Menandro e, a sua volta, fonte d'ispirazione per "L'école des maris" di Molière) nella quale due fratelli, Dèmea e Micione, educano, in modo opposto, il primo con rigore, il secondo con libertà, i due figli di Dèmea. Commedia degli equivoci, come sempre in Terenzio, diversamente che in Plauto, si tende più a sorridere che a ridere. Dario Del Corno, grecista dell'Università di Milano, specializzato nello studio del teatro antico, e recentemente deceduto, è autore di un'introduzione chiara e ampia e di una traduzione forse un po' troppo libera (per limitarsi a un esempio, un "O hominem inpurum!" diviene un "Che schifo!", v. 183).
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