Ho letto questo libricino consigliato dalla mia amica Laura (esperta di fotografia e di arte). Non avevo mai letto nulla di Perec e mi ha sorpreso. Descrive gli spazi della nostra quotidianità partendo dal più vicino fino a quello più distante che comprende gli altri. Ci sono ottimi spunti di riflessione, non necessariamente correlati alla fotografia, che possono aiutare a progettare meglio le proprie iniziative di vita anche fotografiche. Leggerò sicuramente anche altro dell'autore.
Specie di spazi
«Vorrei che esistessero luoghi stabili, immobili, intangibili, mai toccati e quasi intoccabili, immutabili, radicati; luoghi che sarebbero punti di riferimento e di partenza, delle fonti: il mio paese natale, la culla della mia famiglia, la casa dove sarei nato, l'albero che avrei visto crescere (che mio padre avrebbe piantato il giorno della mia nascita), la soffitta della mia infanzia gremita di ricordi intatti... Tali luoghi non esistono, ed è perché non esistono che lo spazio diventa problematico, cessa di essere evidenza, cessa di essere incorporato, cessa di essere appropriato. Lo spazio è un dubbio: devo continuamente individuarlo, designarlo. Non è mai mio, mai mi viene dato, devo conquistarlo. I miei spazi sono fragili: il tempo li consumerà, li distruggerà: niente somiglierà più a quel che era, i miei ricordi mi tradiranno, l'oblio s'infiltrerà nella mia memoria, guarderò senza riconoscerle alcune foto ingiallite dal bordo tutto strappato. Non ci sarà più la scritta in lettere di porcellana bianca incollate ad arco sulla vetrina del piccolo caffè di rue Coquillière: "Qui si consulta l'elenco telefonico" e "Spuntini a tutte le ore". Come la sabbia scorre tra le dita, così fonde lo spazio. Il tempo lo porta via con sé e non me ne lascia che brandelli informi. Scrivere: cercare meticolosamente di trattenere qualcosa, di far sopravvivere qualcosa: strappare qualche briciola precisa al vuoto che si scava, lasciare, da qualche parte, un solco, una traccia, un marchio o qualche segno».
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Edizione:16
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Anno edizione:1989
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Paola Torrico 29 settembre 2017
È un opera dal forte carattere descrittivo, didascalico e a tratti esilarante. L’autore parte da una premessa metodologica ben precisa: la necessità di descrivere lo spazio. Il testo si sviluppa attraverso una classificazione degli spazi con un climax strutturale, uno sguardo esplorativo che va dallo spazio più piccolo, intimo e personale quale il letto fino ad uno spazio concettualmente vasto come il mondo. Ma prima ancora di questa classificazione Perec ci propone la pagina, che viene a definirsi e proporsi come spazio proprio e solo in virtù dei segni, ovvero delle parole che abitano il foglio. Ciò che lo scrittore parigino vuole sottolineare è proprio il carattere problematico dello spazio che dobbiamo continuamente individuare, designare, conquistare cosi come le parole sulla pagina bianca. Ma come conquistare lo spazio? Lo scrittore ci propone una serie di esercizi o esercitazioni (l’autore usa entrambi i termini) utili o addirittura necessari per conoscere o meglio per provare a conoscere e ad afferrare lo spazio. In questo si mostra tutto il carattere analitico dell’opera. Ci esorta ad osservare con uno sguardo critico, a riflettere ad interrogarci sugli aspetti più ovvi e banali della vita quotidiana che si consuma nello spazio, a valutare tutte quelle cose che diamo per scontato. Questo sguardo nel quotidiano e il tono spontaneo danno all’opera un carattere divertente e stimolante. Perec ci parla quindi di uno spazio che deve essere osservato e poi riconosciuto. Fondamentale è la riflessione finale dell’autore che con un tono quasi malinconico ci propone uno spazio fragile che, come il tempo e sotto l’ombra del tempo , cambia e si consuma.
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Quanti tipi di spazi riconoscete quotidianamente nell’attraversare ciò che vi separa da tutto ciò che vi circonda? Perec, insieme a Italo Calvino e il poeta e matematico Jacques Roubaud, appartiene al gruppo dell’OuLiPo (Ouvroir de Littérature Potentielle) fondato nel 1960 da Raymond Queneau e François Le Lionnais. Si tratta di un’officina di letteratura potenziale che si serve di regole e costrizioni, come “dispositivi” (secondo la definizione che ne dà G. Agamben), che stimolano la creatività. Uno di questi ideati da Perec è la "macchina crea-storie" che egli utilizza per costruire la complessa struttura architettonica de La vita, istruzioni per l'uso, una vertiginosa descrizione dei personaggi e delle stanze che abitano, in un palazzo parigino che lo stesso Perec lobotomizza. Specie di spazi invece ha un ritmo più lento, riflessivo, qui nomina, traccia e delimita lo spazio descrivendo le relazioni tessute tra le persone, gli oggetti e il vuoto che li accoglie. Un vuoto che diventa subito un alto-basso, sinistra-destra, dentro-fuori, davanti-dietro, vicino-lontano. Perec si fa spazio nel vivere quotidiano suggerendone anche un metodo di osservazione, classificazione e interpretazione, dalla pagina del libro per passare al letto, alla camera, all’appartamento, al palazzo, alla strada, al quartiere, alla città, alla campagna, dal Paese all’Europa, al mondo, a Lo Spazio. Perec ci insegna a guardare e vedere in modo critico ogni elemento che ci circonda a partire dal più banale, poiché è proprio questo che non notiamo dato che i nostri occhi si posano solo su ciò che è «miseramente eccezionale». Vedere qualcosa significa assegnargli il suo posto nel tutto e ciò che fa Perec non è soltanto descriverne la forma, il colore, la dimensione ma anche la sostanza, «l’interazione tra le tensioni guidate» (R. Arnheim, 1997) cioè la forza psicologica che quel qualcosa contiene. Il nostro corpo è esso stesso uno spazio che sta dentro lo spazio che abita e questo attraverso il movimento esiste e ancora non è dato in precedenza, ma è costruito dal movimento che lo scava creando volumi o lo traccia creando direzioni. Perec ci insegna a definire i confini non come limiti ma come eccipienti, come membrane dinamiche attraverso le quali avvengono interazioni. Tutto ciò ci consente di appropriarci di un luogo ovunque ci si trovi, prendere così coscienza di ciò che viviamo o di ciò che ci vive.
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