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Anno edizione: 2012
Anno edizione: 2012
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«Il vicolo Cannery a Monterey in California è un poema, un fetore, un rumore irritante, una qualità della luce, un tono, un'abitudine, una nostalgia, un sogno.»
Romanzo della maturità di John Steinbeck, Vicolo Cannery narra di un mondo in cui vivono usurai, pescatori, ruffiani, giocatori ed emarginati di tutte razze. In questo microcosmo di diseredati spicca la figura di un solitario e misterioso biologo che, nonostante la differenza di classe, si interessa a loro instaurando un rapporto di affettuosa amicizia e solidarietà umana. Insieme imparano a farsi burla del destino riuscendo a costruirsi un'esistenza degna di essere vissuta, che finisce per rendere questi personaggi eroi e simboli del vivere quotidiano. Nella narrazione scanzonata delle avventure di questa umanità, Steinbeck restituisce il ritratto tragico e al tempo stesso comico di uomini e donne vittime di un grande equivoco morale, l'altro volto del benessere americano.
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Ricordo ancora il momento in cui il mio sguardo si è soffermato - in maniera piuttosto decisa - sulla copertina di questo libro, perché alla fine sono un inguaribile esteta. Era il primo libro che leggevo di Steinbeck e ne sono rimasto totalmente rapito, piacevolmente rapito, da questa realtà così magica, fatta di alti tristi e di bassi divertenti. Questa sinergia è difficile da spiegare senza rischiare di raccontarvi il libro. La storia scivola via tra un dialogo tra ubriachi e un dialogo alcolico che non sta ne in cielo ne in terra per l'assurdità delle frasi sconnesse. Ha a sua disposizione un mondo intero eppure svolge l'intera vicenda in un ambiente circoscritto: la casa di un dottore, la casa dei "mascalzoni" e il negozio del mercante, il tutto racchiuso in un vicolo, appunto il vicolo Cannery. Questa è una caratteristica di Steinbeck, ambientare piccole vicende, in un piccolo spazio, e questo non minimizza nulla, anzi a mio avviso conferisce al racconto una dimensione immensa. Per rendere l’idea vi farò un esempio: preferite un ristorante grande, pieno di gente e quindi caotico e sterile o una piccola osteria, calda, riservata, magari col camino in un angolo e con la nonna del proprietario in cucina? A voi la scelta! La vicenda ruota intorno ad un paio di pantaloni bucati, uno di scarpe aperte, una bottiglia con tutti i rimasugli di altri alcolici, una festa a sorpresa riuscita male, una caccia alla rane, una stufa pesantissima, un cane randagio, ed infine una festa non più a sorpresa ma stavolta riuscita bene. Finito di leggere il libro si ha la sensazione di aver letto appena cinque pagine. Ti lascia dentro un vastità di contenuti e di rilassatezza mista ad una tristezza di aver perso qualcosa di importante. Sulla scia di questo libro ho deciso di leggermi anche Pian della Tortilla...ma questa sarà un'altra recensione!
Come sempre, Steinbeck riesce a infondere umanità, e in questo universo periferico di losers lo fa imbastendo la narrazione con appassionato distacco e cinica leggerezza. Nonostante ciò, e a parte qualche situazione al limite tra il divertito e l'amaro, il romanzo non mi ha particolarmente coinvolto.
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