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Anno edizione: 1997
Anno edizione: 2013
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Segnalo questo libro, al quale sono molto legato, che ha avuto una certa fortuna anni fa e che da qualche tempo è stato dimenticato. Eppure, si tratta di una storia d'amore densa e malinconica, che chiunque abbia maturato una certa sensibilità non può non apprezzare. Lo raccomando a lettrici e lettori adulti, inclini a farsi irretire dal canto di sirene antiche.
Forse il piu' bel libro dell'ultima meta' del novecento francese.La scittura di Cohen semplicemente stordisce: dal monologo lezioso e sconclusionato alle piu' alte vette del lirismo biblico.Un romanzo"mostruoso" fatto di piu' romanzi.Un unico tema: "vanitas vanitatum"-anche,purtroppo,per l'amore-passione,quello che dovrebbe farci simili a Dio. Ma tanta grazia,ironia,"cattiveria" d'analisi e simpatia per i suoi poveri amanti-destinati-come tutto-al fallimento.
In quarta di copertina si paragona l'opera di Cohen all'Ulisse di Joyce e alla Recherche di Proust; a me, invece, viene in mente una canzone di Shakira, come da titolo. Non sarà un riferimento alto, da intellettuali, ma questa frase sintetizza alla perfezione la teoria del bel Solal. Gli esseri umani sono animali e, in quanto tali, scelgono il partner in base a precise caratteristiche fisiche che, spesso inconsciamente, lo rendono adatto alla continuazione della specie. L'uomo diventa attraente agli occhi di una donna in quanto forte e potente, metaforicamente capace di uccidere, mentre la donna lo è per le sue forme, simbolo di fertilità. È così. Me ne rendo conto. Ci illudiamo di essere delle anime delicate che pensano soltanto alla poesia dei fiori e dei tramonti mozzafiato, mentre in realtà stiamo soppesando i vari attributi fisici del nostro potenziale compagno. Solal ne parla per pagine e pagine, portando ad esempio il comportamento di altre specie animali, che almeno non hanno la faccia tosta di nascondersi dietro paraventi fatti di sentimenti alti e attrazioni esclusivamente cerebrali! Solal, però, sembra includere soltanto le donne in questo comportamento "ipocrita", ma lo stesso vale anche per gli uomini e sarà proprio lui a dimostrarlo. Se qualche maschilista dovesse imbattersi nelle parole di Solal potrebbe impararle a memoria per poi spiattellarle all'occorrenza in qualsiasi contesto. Già me lo immagino. Ci sarebbe da divertirsi. Esaurito lo sfogo relativo alla teoria solaliana, spenderò due parole sui personaggi che popolano questo librone. In sintesi? Non si salva nessuno. Adrien Deume è l'uomo-zerbino, biologicamente incapace di uccidere per proteggere la sua compagna e la prole, ma prodigo di carezze e piccole attenzioni, sempre pronto a condividere con la moglie i dettagli relativi alla propria attività intestinale... Chi non lo tradirebbe con un uomo bello e dannato, di quelli che non devono chiedere mai? Mettendo da parte lo scarso sex appeal del personaggio, c'è da dire che - oltre a farsi mettere le corna - incarna una critica, tutt'altro che velata, alla Società delle Nazioni: i fannulloni nostrani gli fanno un baffo a questi funzionari ginevrini che pensano soltanto ad allargare la portata della rete sociale che li sostiene. Fare carriera è l'unico obiettivo e, per riuscirci, non c'è bisogno di far bene il proprio lavoro - che idea!, basta essere simpatici alle persona giuste! Ci si diverte molto ad assistere alle varie riunioni in cui nessuno sa bene quale sia l'argomento del giorno, ma tutti hanno qualcosa da dire a riguardo e discutono animatamente di aria fritta. Ma lo fanno con stile, mi pare ovvio. La madre di Adrien riesce nell'ardua impresa di essere più fastidiosa del figlio: ogni sua azione è appositamente studiata per essere degna di quei salotti che mai potrà frequentare, per sua sfortuna. Devotissima e appassionata della vita di regine e principesse se la prende in continuazione col marito per il naufragio della loro vita sociale. È talmente antipatica che viene voglia di tirarle i capelli... Poi c'è Ariane. Ariane dal corpo flessuoso. Ariane amante della musica. Ariane che detesta la compagnia dei suoceri e del marito. Ariane che cerca l'avventura. È lei la bella del Signore. Lei che vede nel suo uomo una sorta di divinità. Lei che trasforma il suo amore in una pantomima, in un insieme di riti e celebrazioni. In un'avventura continua in cui non c'è spazio per le piccole condivisioni del quotidiano. Per l'alito cattivo, i capelli scarmigliati o i vestiti poco eleganti. Per Ariane tutto deve essere perfetto. Non vuole che ci siano momenti in cui la carne prende il sopravvento sullo spirito. Persino starnutire è un tabù per lei. O singhiozzare. Tenta in tutti i modi di apparire estranea al proprio corpo per abitare una dimensione più alta. Finta. Inverosimile. Triste. Ripetitiva. Una dimensione in cui, lei e il suo Signore, si ritroveranno da soli. Privi del conforto reciproco. Ognuno con le sue battute e i suoi abiti di scena. Ognuno con la sua segreta frustrazione. Ormai esclusi dalla società che tanto avevano disprezzato. Sartre diceva "L'enfer c'est les autres", peccato che non tutti possano permettersi questa riflessione. Per quanto li disprezziamo, abbiamo bisogno degli altri, di circondarci di altre persone con cui condividere o almeno fingere di condividere determinati momenti. Altrimenti non c'è scampo. La solitudine, anche se si è in coppia, è fatale. Si finisce per soccombere. Per lasciarsi andare. Abbiamo un bisogno disperato di essere parte di qualcosa di più grande, di circondarci di tutte quelle relazioni formali, prive di profondità, che ci rimandano il riflesso di noi stessi. Un tema, quello dell'esclusione dalla società, che richiama apertamente la persecuzione degli ebrei: persone che, da un giorno all'altro, hanno smesso di avere diritto ad un posto in quella società cui sentivano di appartenere. Sembra quasi un avvertimento: tutto è relativo. Le "quotazioni" di ognuno all'interno del consorzio umano possono variare inaspettatamente. All'improvviso. Appartenere ad un gruppo - anche se fosse il gruppo degli emarginati - ci è indispensabile, ma si rivela un'arma a doppio taglio. Qualcosa che può ferirci a morte, ma di cui non possiamo fare a meno. Cohen ci comunica questo paradosso vitale intrecciando le voci di questi personaggi all'apparenza così diversi, ma che in fondo si somigliano molto, divisi come sono tra il proprio io e l'immmagine di sé che offrono agli altri. Ognuno con un suo linguaggio privato e una sua espressività pubblica, ognuno colto nelle sue piccole e grandi meschinità da un occhio cinico che non ha paura di mettere a nudo le oscenità del genere umano. Da rileggere.
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