Compositore tedesco.
Le vicende biografiche. Nulla si sa dei suoi primi studi musicali, avversati in famiglia (era figlio di una guardia forestale). Iscrittosi all'università di Praga nel 1731 (facoltà di logica), fu poi al servizio (come «musico di camera») del principe G. Lobkowitz a Vienna; nel 1737 conobbe il principe A.M. Melzi, dal quale fu condotto a Milano, dove studiò con G.B. Sammartini ed esordì come operista nel 1741. Soggiornò poi a Londra (1745-46) avendo contatti con Händel; stabilitosi infine a Vienna (1752), maturò, sotto la spinta di collaboratori italiani (il conte G. Durazzo, direttore generale degli spettacoli di corte, il librettista R. de' Calzabigi, il coreografo e ballerino G. Angiolini), il suo progetto di riforma del melodramma, iniziato con l'Orfeo ed Euridice (1762) e proseguito con Alceste (1767) e Paride ed Elena (1770). Recatosi a Parigi (1774), vi presentò – oltre alle versioni francesi dell'Orfeo e dell'Alceste – Iphigénie en Aulide (1774), Armide (1777) e Iphigénie en Tauride (1779), entrando in polemica col Piccinni. Rientrato a Vienna in seguito al clamoroso insuccesso riportato da Echo et Narcisse (1779), cessò praticamente di comporre.
La «riforma del melodramma». Per lungo tempo adeguatosi al costume melodrammatico imperante (i primi 30 melodrammi sono tutti concepiti nello stile italiano o in quello francese), G. giunse alla definizione di quella che sarebbe stata chiamata «la riforma del melodramma» dopo oltre vent'anni di attività. A parte i lavori teatrali (50 opere e 5 balletti), la sua produzione comprende composizioni vocali profane di vario genere, pochi brani di musica sacra, 9 sonate per due violini e continuo, 9 sinfonie e 1 concerto per flauto e orchestra (quest'ultimo di dubbia autenticità). Fra le opere precedenti la «riforma», qualche pagina notevole emerge da Le nozze d'Ercole e d'Ebe (1747), Le cinesi (1754), L'Île de Merlin, ou Le monde renversé (1758), L'ivrogne corrigé (L'ubriacone punito, 1760). La svolta decisiva è segnata dall'Orfeo ed Euridice, preceduto da un importante balletto, Don Giovanni (1761), una pagina del quale G. inserirà poi nella versione parigina dell'opera. I principi programmatici della riforma vennero ribaditi e perfezionati nell'Alceste, che nella prima edizione reca una prefazione di straordinario interesse storico. Cardine della riforma, che G. e Calzabigi impostano seguendo i canoni della tragedia greca già presa a modello dai primi creatori di melodrammi, è l'unitarietà del dramma, che viene raggiunta tenendo presenti, fra gli altri, i seguenti punti: la sinfonia d'apertura deve introdurre nell'atmosfera dell'azione; ai cantanti non è permesso ornare a piacimento la propria parte; scompare la differenza fra recitativo e aria, in quanto essi vengono ricondotti a un'unica dimensione musicale che vuol essere costantemente espressiva e condizionata dalla parola, evitando di interrompere l'azione; il coro assume nuovamente una funzione di personaggio; le danze sono introdotte solo nei casi in cui occorrono. Si aggiunga che i mutamenti di scena sono ridotti al minimo indispensabile; che l'orchestrazione ha funzione espressiva e spesso gioca un ruolo indipendente, non limitandosi al solo accompagnamento del canto; che la situazione scenica è osservata nel rispetto della verosimiglianza; che il taglio dell'azione è rapido e incisivo, senza dispersioni.
Significato storico dell'opera di gluck. Tanto nell'Orfeo quanto nell'Alceste e nell'Iphigénie en Aulide (indubbiamente i tre capolavori di G.) tutto pare mirabilmente fuso in un'unità di linguaggio che fa di ogni opera un lavoro a sé stante, rinnegando perciò il principio dell'opera settecentesca convenzionale, costruita secondo calchi validi per qualsiasi situazione. Naturalmente, la riforma contravveniva ai costumi e alle convenienze teatrali del tempo, e perciò fu accolta, a seconda dei casi, con diffidenza, con rancore, con indifferenza (lo stesso G., del resto, non sempre seguì la strada tracciata, come dimostra ad esempio Il trionfo di Clelia, 1763). D'altra parte, soltanto in un più ampio contesto di trasformazioni della concezione drammaturgica dell'opera e della funzione della musica le intuizioni di G. avrebbero potuto svilupparsi in tutte le loro conseguenze. Le sue orme furono inizialmente seguite solo da musicisti minori, così che si dovettero attendere un Cherubini, uno Spontini o un Berlioz perché la sua lezione fosse compresa a fondo. G. rifiutò il principio edonistico della musica; razionalista e naturalista, egli non poteva concepire l'arte come un semplice svago dei sensi. La sua riforma, al di là del significato musicale, già in sé profondo, riflette dunque un mutamento di ordine etico e, come la tragedia greca, vuole offrire allo spettatore quella consolazione purificatrice che scaturisce soltanto da una partecipazione diretta all'azione drammatica.