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Anno edizione: 2021
Anno edizione: 2010
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Con questo romanzo tumultuoso che usa i toni della favola, sorretto da un linguaggio portentoso e da un'inarrestabile fantasia, Gabriel García Márquez ha saputo rifondare la realtà e, attraverso Macondo, il mitico villaggio sperduto fra le paludi, creare un vero e proprio paradigma dell'esistenza umana.
«Domandava che città fosse e gli rispondevano con un nome che non aveva mai sentito, che non significava nulla, ma che nel sogno aveva un'eco soprannaturale: Macondo.»
«È il libro che mi ha cresciuta, svezzata, che mi ha dato il respiro, la lingua, e soprattutto mi ha fatto capire che avrei voluto narrare nella vita.» - Monica Acito per Maremosso
Da José Arcadio ad Aureliano Babilonia, dalla scoperta del ghiaccio alle pergamene dello zingaro Melquíades finalmente decifrate: cent'anni di solitudine della grande famiglia Buendía, i cui componenti vengono al mondo, si accoppiano e muoiono per inseguire un destino ineluttabile. Con questo romanzo tumultuoso che usa i toni della favola, sorretto da un linguaggio portentoso e da un'inarrestabile fantasia, Gabriel García Márquez ha saputo rifondare la realtà e, attraverso Macondo, il mitico villaggio sperduto fra le paludi, creare un vero e proprio paradigma dell'esistenza umana. In questo universo di solitudini incrociate, impenetrabili ed eterne, galleggia una moltitudine di eroi predestinati alla sconfitta, cui fanno da contraltare la solidità e la sensatezza dei personaggi femminili. Con la sua forza, il suo bagaglio di visioni e di prodigi, con la sua capacità di reinventare il mondo, Cent'anni di solitudine è il libro rivelazione che ha rivoluzionato il modo di narrare e ha aperto alla forma romanzo una nuova stagione di successi. Un capolavoro insuperato e insuperabile, un racconto tra i più amati di ogni tempo, un «romanzo ideale», secondo le parole dello stesso autore, «capace di rivoltare la realtà per mostrarne il rovescio».
COME COMINCIA
Molti anni dopo, davanti al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía avrebbe ricordato quel pomeriggio remoto in cui suo padre l'aveva portato a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di fango e canne costruite sulla riva di un fiume dalle acque diafane che si precipitavano su un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente che molte cose erano senza nome, e per menzionarle bisognava indicarle col dito. Tutti gli anni, nel mese di marzo, una famiglia di zingari straccioni piantava la tenda vicino al villaggio, e con gran chiasso di fischietti e timbales veniva a far conoscere le nuove invenzioni. Prima portarono la calamita. Uno zingaro corpulento, con una barba selvatica e mani di passero, che si presentò col nome di Melquíades, diede una truce dimostrazione pubblica di quella che chiamava l'ottava meraviglia dei sapienti alchimisti di Macedonia. Andò di casa in casa trascinando due lingotti metallici, e tutti si spaventarono vedendo che paioli, padelle, pinze e fornelli cadevano in terra, e i legni scricchiolavano per la disperazione dei chiodi e delle viti che cercavano di schiodarsi, e anche gli oggetti perduti da molto tempo ricomparivano là dove più erano stati cercati, e strisciavano in un turbolento fuggifuggi dietro ai ferri magici di Melquíades. «Le cose hanno vita propria,» proclamava lo zingaro in tono aspro «è solo questione di risvegliarne l'anima.»
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Il Romanzo, che ha una sua precisa connotazione sin dall’incipit che può essere ricordato per la forza evocativa di un plotone d’esecuzione e per l’originalità e la verginità di un villaggio di venti case d’argilla, da cui parte la storia fantastica, fantasiosa, fluviale e turbolenta dei Buendia. È la storia o l’insieme di storie di personaggi immortali che tramandano il loro nomi di generazione in generazione e che l’infinita Ursula suddivide in Aureliani, riservati e con lucido discernimento e in Josè Arcadio impulsivi e intraprendenti ma marcati dall’ineluttabile tragicità delle loro vite. A Macondo prima arrivarono gli zingari con i loro saltimbanchi ed equilibristi ed insieme a loro il ghiaccio, poi arrivò la peste dell’oblio e solo Melquiades riuscì a ripristinare la memoria grazie a una sua magia. Poi arrivò la guerra ed il solitario Aureliano divenne il colonnello e smise di fabbricare pesciolini d’oro. Arrivò anche il treno che portò con sé i Gringos e il commercio di banane e quel decadimento accelerò inesorabilmente. Arrivò la pioggia che cadde inesorabilmente per quattro anni, arrivò la siccità che arse la terra per dieci anni. I pesciolini d’oro che Aureliano creava nel suo laboratorio giovanile e che il Colonnello Aureliano tornerà a produrre una volta che l’armistizio avrà decretato la fine di tutte le sue trentadue guerre, rappresentano il legame tra il presente ed il passato che inizia con la solitudine e finisce con la stessa. Con una scrittura poderosa e incontenibile Gabriel Garcia Marquez, nel 1967, traccia un nuovo solco nella terra delle opere d’arte della scrittura con la pubblicazione di questo straordinario capolavoro.
In questo libro, García Marquez riprende quel 'maravilloso' delle cronache delle Indie, citato persino nella Lettera di Colombo a los Reyes Catolicos alla conquista dell'America. La rivisitazione di questo realismo meraviglioso che da secoli caratterizza il subcontinente Americano, soggetto ad un processo di colonizzazione capillare da parte dell'Impero Spagnolo, è in linea con il sentimento generale e odierno di riappropriazione culturale da parte delle nazioni soggette alle violenze e gli stereotipi di un immaginario a volte anche nocivo. Il libro è stupendo, per non dire di nuovo meraviglioso, trasmette una certa calma. Marquez è come al solito un maestro e il mio autore preferito.
Un libro vivo, che si anima da solo. Un classico della letteratura da recuperare, rileggere e amare ogni volta.
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