Questo è un romanzo sull’Egitto, sul silenzio e sulla memoria.
«In questo libro non c'è una parola di troppo. Ogni frase ha un suo preciso significato, perché nel romanzo di El Rashidi, come nella vita, famiglia e società sono inseparabili.» - Claire Messud, «The New York Review of Books»
«Il romanzo, con le sue pause di sospensione dalle vicende politiche, evidenzia soprattutto il personale isolamento di una generazione che si è vista letteralmente scippare i suoi sogni. Un ritratto inedito di ciò che è successo negli ultimi anni in Egitto.» - The New York Times
«Un romanzo che racconta la storia di un paese attraverso le sue vicende politiche e il risveglio della coscienza della protagonista». - The Washington Post
In realtà «l’ultima estate» non è una sola, le «ultime» sono tre, quelle del 1984, del 1998 e del 2014. Segnano momenti di delucidazione, risoluzione e cambiamento, per chi racconta e per il paese. E sono caratterizzate dai silenzi dei familiari, degli amici, dei mezzi di comunicazione su quello che sta succedendo. È un romanzo raccontato «per sottrazione», che attraverso i ricordi di una protagonista prima bambina, poi adolescente, poi donna, illuminano passaggi politici storici insieme a vicende personali e familiari. L’autrice intreccia presente e passato: se stessa bambina con una madre misteriosamente reticente sull’assenza prolungata e inspiegabile del padre; se stessa giovane donna decisa a diventare autrice di documentari, intervistando gente per la strada, ma non i venditori ambulanti, già allora conscia, come tanti, del pericolo che rappresentano; se stessa scrittrice che riesplora il suo passato dopo la caduta di Mubarak e si pone domande sui silenzi che hanno segnato e formato la sua esistenza. Le sparizioni – prima di tutte quella del padre della protagonista – riempiono lo sfondo, insieme ai soprusi, all’antisemitismo, all’anticomunismo. E ci sono altre sparizioni, emblematiche, di edifici, di parchi, di passeggiate a mare, di esercizi pubblici… e anche corpi senza vita con il numero di telefono scritto sul braccio, come se gli uccisi avessero saputo di dover essere identificati dopo gli scontri del 2011.
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