Il coraggio con cui Stefano Dionisi continua a portare avanti questa sua battaglia, senza nascondere che si guarisce solo se si ammette che si deve risalire la china, rimane ammirevole. Basti solo pensare a quanti attori e personaggi noti degli anni Cinquanta e Sessanta hanno avuto i suoi stessi problemi, ma non si è mai saputo, se non dopo decenni, perché riferito dai giornali, dalle biografie o dai loro stessi figli. Non trascurabile poi l'impatto che può avere la sua voce in favore dei tanti malati con strumenti finanziari molto inferiori ai suoi. La scrittura è molto asciutta, senza orpelli né eufemismi, ma non potrebbe essere altrimenti per un tema così delicato. Nella lettura non ci si ritrova mai schierati, né con il protagonista (che non cerca mai di giustificarsi e si consegna al lettore per quello che è), né con i suoi sgangherati compagni d'avventura, ai quali però lo scrittore riconosce dignità e valore, non fosse altro che per la battaglia che conducono per tornare alla vita, ciascuno a proprio modo. Lodevole anche la precisione con cui vengono descritti gli aspetti materiali della malattia, i costi, le piccole e grandi controindicazioni dell'assunzione dei farmaci, le condizioni igieniche delle strutture, il valore che il protagonista attribuisce ad ognuna di queste variabili, anche in funzione del proprio lavoro. Libero da ipocrisie anche il giudizio sul contesto familiare - che sembra salvare personaggi di solito condannati e cestinarne altri, a causa di un ruolo assolto male e solo per tornaconto personale - e professionale - con loschi figuri pronti ad approfittare delle condizioni di salute per fare posto ai propri amici.
"Noi eravamo lì per un miracolo, per un'assoluzione laica per le nostre follie e i nostri amori... Noi eravamo lì per non dover più piangere per i nostri cari, per non suicidarci, per riprendere a mangiare..." A scrivere è Stefano Dionisi, che una notte in Estremadura, dove sta girando un film, perde la drammatica battaglia con i fantasmi che da tempo lo cingono d'assedio. L'inevitabile ricovero coatto in una struttura psichiatrica diventa così la prima stazione di un tormentato viaggio nella malattia mentale, sia dentro di sé sia dentro le cliniche pubbliche e private, dove ogni giornata è identica alla precedente, scandita dalle visite del Prof e dei suoi assistenti Tacchi a Spillo e Sbrano, dal cigolio delle ruote del carrello con i pasti sottovuoto e di quello con la "terapia", dai fugaci incontri con i familiari e con gli altri pazienti, e da ore e ore passate sdraiati sul letto o in piedi davanti a una finestra ermeticamente chiusa, nell'ansiosa attesa di "un treno che è sempre in ritardo". Nelle stanze, nei saloni e nei corridoi illuminati giorno e notte dalla fredda luce dei neon si muovono Ciuf Ciuf, il Conte, il Pilota, il Toscano e molti altri uomini e donne fragili, bisognosi, ciascuno con la propria angoscia, ma tutti disperatamente aggrappati a ciò che resta della loro identità e a ogni minimo spazio di libertà. Per continuare a nutrire e a manifestare, in condizioni estreme e contro il regolamento, sentimenti di amicizia, affetto, tenerezza e un insopprimibile desiderio di amore...
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Anno edizione:2015
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Giulia Moscatelli 26 novembre 2016
Un racconto vero, di esperienza vissuta, di dolore ricevuto ed elaborato. Perché non si esce da certe sofferenze, ma le si puo' combattere e reagire di conseguenza. Stefano è un combattente, che si è messo a nudo per portare la sua testimonianza. Ed è importante, perché il cambiamento parte da ciascuno di noi e finché la diversità e certe problematica restano tabù, si è invisibili e si rimane ignorati. Un libro pieno, per tutti. Perché tutti siamo fragili e abbiamo bisogno di sostegno, chi più chi meno.
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un libro veramente speciale
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