Non so se Tolstoj avesse davvero in mente una parabola teologica sul rapporto dell'uomo con la Chiesa e con Dio (come recita la quarta di copertina). Da questo punto di vista il racconto è assai fragile, ma la vena narrativa scorre impetuosa e il personaggio di Stepàn-Sergij che vuole dominare la realtà senza mai arrendersi ad essa, e per questo diviene spietato con se stesso, rimane nella memoria.
Un giovane principe della guardia imperiale di Nicola I improvvisamente lascia tutto per andare in cerca della santità. E ha inizio per lui un confronto avventuroso, travolgente, con un Dio sconosciuto che abita dentro di lui e al tempo stesso in tutto l'universo. La lunga vita del principe-monaco si trasforma in una parabola teologica, nella quale ogni certezza viene via via distrutta e non rimane, alla fine, che un'immensa libertà, conquistata attraverso tempeste di orgoglio, dubbio, sensualità. È la più intensa, la più struggente tra le autobiografie ideali di Lev Tolstoj. La scrisse tra il 1890 e il 1898, al culmine della predicazione del suo personale cristianesimo, integralista, antiecclesiastico, prepotentemente eretico. E non la pubblicò: teneva per sé questo "Padre Sergij", vi si specchiava, ora rabbrividendo per quanto gli assomigliava davvero, ora sforzandosi, disperatamente, tragicamente, di assomigliargli fino alla fine.
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Pietro Zanone 31 dicembre 2010
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DANIELE CARPI 14 dicembre 2010
La religione, come la politica, è un fatto squisitamente personale: sono convinzioni e argomenti maturati con l'esperienza quotidiana che formano l'uomo nelle sue pratiche e dinamiche, nei suoi comportamenti e nelle sue riflessioni. Per questo Padre Sergij è un racconto di formazione, di formazione religiosa e umana. Racconta gli avvenimenti di tale Stepàn Kasatskij, colonnello agli ordini dello zar Nicola I, il quale compie un processo di maturazione spirituale nel momento in cui la sua promessa sposa gli confessa di aver già amato. Da qui la trasformazione in Padre Sergij e la nuova vita ecclesiastica - dell'alter ego dello scrittore - che non sarà, però, immune dalle insidie terrene alle quali Stepàn era soggetto in precedenza. L'ormai monaco, a tratti eremita, si trova a dover fare i conti con la sensualità e col suo orgoglio da soldato e uomo - come sosteneva la sorella «si era fatto monaco per porsi più in alto di coloro che avevano voluto dimostrargli di essere più in alto di lui» - che ancora lo attanagliano e che non gli lasciano vivere questa sua nuova dimensione appieno. Così Tolstoj ci permettere di vivere quest'esperienza come una sorta di lotta interiore fra le bramosie e il senso del potere terreno e la salvezza dell'anima che si risolve solamente quando Sergij, ora venerato come un santo ma costretto ancora ad essere un impostore, si rende conto di quale sia la reale ed unica forza in grado di muovere la spiritualità di una persona: l'amore verso la divinità e verso il prossimo, più che verso se stesso. Riuscirà così a trovare la pace, ma solamente nel momento in cui metterà definitivamente da parte il suo orgoglio da "primo della classe".
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SALVATORE RUSSO 10 dicembre 2010
E' un Tolstoj necessariamente diverso da quello, grandioso e lussureggiante di "Guerra e pace"; diverso e, a mio avviso, 'minore' (nella più ampia pluralità semantica del termine); ciò non significa affatto privo di interesse, né banale. Vi è un'atmosfera dimessa che può trarre in inganno e far pensare ad una narrazione meramente intimistica...ma ad un tratto irrompe l'inatteso, sorretto da una scrittura tesa e coinvolgente, e l'emozione è assicurata...
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