Premetto di aver avuto la fortuna con mia figlia e mia moglie di vedere la rappresentazione teatrale del "Pinocchio" a cura di Gek Tessaro e siamo rimasti affascinati dal suo modo di fare "teatro disegnato" sfruttando le impensabili doti della lavagna luminosa, grazie ad una tecnica originalissima. Tessaro decide di dare nuova vita alla storia di Pinocchio, rendendo il testo più fluido e leggibile e prendendosi la libertà di cambiarne il finale: il risultato è un Pinocchio “fresco” e onesto, depurato dall’antica tendenza moraleggiante ma nel rispetto del Collodi e della completezza della trama. Tessaro “mette le mani avanti” nella sua prefazione al testo, in cui spiega le sue motivazioni: Pinocchio impara dai suoi sbagli da burattino, non da bambino. Il suo percorso di crescita lo compie nel suo corpo di legno; è in quella veste che viene adottato, chiamato, conosciuto, amato. In un corpo da bambino si sente estraneo, e sente di aver perso un’importante parte di sé. La durezza del suo legno può rappresentare la sua cocciutaggine, ma al contempo la sua determinazione. Così Tessaro sceglie di “liberarlo” da un’identità che non sente propria, riportandolo allo stato legnoso.
