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Recensioni Un romanzo russo

Un romanzo russo di Emmanuel Carrère
Recensioni: 5/5
«La follia e l'orrore hanno attanagliato la mia vita» scriveva Carrère presentando Un romanzo russo ai lettori francesi. «Di questo, e di nient'altro, parlano i miei libri».

"Hai creduto che l'amore di Sophie, la lingua russa, le ricerche sulla mia vita e sulla mia morte ti avrebbero liberato, ti avrebbero permesso ti chiudere i conti con un passato che non è il tuo ma che si ripete in te in modo ancora più implacabile proprio perché non ti appartiene. Ma l'amore ti ha mentito, ancora non riesci a parlare russo correttamente e quello che in me era irrimediabilmente infetto continua a infettare anche voi, i miei nipoti, e vi sta uccidendo l'uno dopo l'altro. Per morire non c'è bisogno di saltare dalla finestra, ci sono quelli come te che muoiono restando vivi. Per te non c'è liberazione. Ovunque tu vada, qualunque cosa tu faccia, ti aspettano l'orrore e la follia."

Un giorno, però, dopo aver concluso la stesura dell'Avversario, alla follia e all'orrore decide di sfuggire. Trova un nuovo amore e accetta di realizzare un reportage su un prigioniero di guerra ungherese dimenticato per più di cinquant'anni in un ospedale psichiatrico russo. Arriva così in una cittadina a ottocento chilometri da Mosca, dove tornerà poi una seconda volta, ad aspettare, quasi in agguato, che accada qualcosa. Qualcosa accadrà: un delitto atroce. La follia e l'orrore l'hanno dunque «riagguantato». Anche nella vita amorosa: un racconto erotico scritto per gioco, per «fare irruzione nel reale», precipita lui e la sua compagna in un incubo destinato a devastare le loro vite e il loro amore. Nel frattempo, il viaggio in Russia ha messo fatalmente in gioco le sue origini e il suo rapporto con la lingua della madre – e così Carrère comincia a indagare su quello che, non solo implicitamente, gli «è stato proibito raccontare»: la storia del nonno materno, il quale, dopo un'esistenza segnata dal fallimento e dalle umiliazioni, è scomparso nell'autunno del 1944, ucciso probabilmente per aver collaborato con l'occupante. «È il segreto di mia madre, il fantasma che ossessiona la nostra famiglia». Per esorcizzare quel fantasma lo scrittore compie «un oscuro percorso nell'inconscio di due generazioni», che lo porterà alla resa dei conti con un retaggio «di paura e di vergogna» e al tempo stesso alla riconciliazione con l'incombente genitrice – e marcherà la disfatta (sia pur soltanto provvisoria) di quel nemico ghignante, crudele e mostruoso che da sempre lo assedia.)
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