Pubblicato per la prima volta nel 1960 e poi rimaneggiato e sfoltito dall'autore 35 anni dopo in occasione della ripubblicazione con Einaudi, Sonetàula racconta la storia di Zuanne Malune - noto Sonetàula - dal 1938 al 1950, anni in cui Zuanne da ragazzino tutt'ossa diventa uomo e "vittima" di un destino che è l'eco di quello di suo padre e di suo nonno. Sebbene tutti i luoghi siano inventati, è semplice riconoscere la Barbagia (ed il suo "codice") nella narrazione di Fiori, una storia che fa tornare alla mente il contemporaneo "Banditi a Orgosolo", piena dello stesso rassegnato disincanto. Zuanne non è 'condannato' per nascita, ma per le sue scelte, frutto di un'educazione che vede nella vendetta il mantenimento dell'onore, nel ricorso alla legge un atto di vigliaccheria. Un po' come nelle Due città di Dickens, Zuanne ha una sua controparte - Giuseppino - che rappresenta tutto quello che Sonetàula avrebbe potuto essere e a cui avrebbe potuto aspirare (incluso il vedersi ricambiato dalla donna amata, che ovviamente è la stessa per entrambi). Gli episodi della vita di Sonetàula, la sua discesa verso il lato oscuro, sono raccontati con una prosa elegante che si alterna all'asprezza del sardo "tradotto" in italiano, ma conservato nelle sue forme e nelle sue espressioni. È un racconto privo di qualsiasi tentativo di tramandare un 'mito del buon selvaggio', di qualsiasi nostalgia del passato, di qualsiasi rimpianto delle cose cambiate dalla modernità; insomma - per me che non la amo - è un racconto che si distanzia dalla prosa e 'mitologia' deleddiane. È la storia di un vinto, disincantata, essenziale, rassegnata; una storia che non ispira pietà, ma tristezza per un ragazzo costretto(si) a diventare "marinaio di foresta, senza sonno e senza canzoni".
Sonetaula è il soprannome di un ragazzino sardo, servo pastore, che riesce ad avere un proprio gregge, ma scivola nell'inevitabile subcultura del mondo pastorale e si spinge sulla via senza ritorno del banditismo. E' la "condanna dell'ovile", trafila comune a quasi tutti i ragazzini di quegli anni (1937-50) nella Sardegna dell'entroterra. A questa si sottrae un coetaneo che, divenuto neccanico, è caposquadra nella lotta all'anofele, combattuta dagli Americani nel 1944 per liberare l'isola dalla malaria. Diversamente dall'amico, il meccanico si "salva" dalla sorte comune grazie alla diversa realtà lavorativa in cui riesce ad entrare. Un testo scritto quarant'anni fa e, recentemente, rivisitato dall'autore.
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Paola Brasu 29 novembre 2017
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