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Stirpe selvaggia è la storia di un’amicizia fra tre bambini coetanei di nove anni, Mariano, Rachele e Amerigo, quest’ultimo concepito in America nel corso di un fugace rapporto della madre con Buffalo Bill; sullo sfondo ci sono i boschi dell’Appennino bolognese, carichi di leggende che li rendono esseri animati, ammantando il tutto di un alone magico. La trama inizia nel lontano 1906 e finisce nel novembre del 1944, un arco di tempo di particolare rilievo nella prima metà dello scorso secolo. Il paesino dove vivono i tre bimbi, San Sebastiano in Alpe, è popolato da personaggi indimenticabili e ricorda un po’ la Macondo di Gabriel García Márquez, sebbene in veste italiana e per certi aspetti migliore di quella uscita dalla penna del narratore colombiano. In mezzo secolo, con la presenza di due guerre, c’è molto da raccontare anche riguardo a quel piccolo borgo montano, ma soprattutto c’è il grande valore dell’amicizia, capace di superare tutte le difficoltà, tanto che anche quando le circostanze, gli eventi separeranno i tre ragazzi, ormai diventati adulti, loro sapranno poi ritrovarsi, suggellando con un atto di eroismo quel lontano sentimento che li ha sempre accomunati. In 298 pagine Baldini dice tanto, parla di un Italia in itinere, un paese che non ha ancora trovato la sua via da percorrere unito, un popolo con le accentuate differenze sociali che portano inevitabilmente a dei disordini, ci sono due guerre, c’è il fascismo, ma soprattutto c’è una indistruttibile amicizia fra tre coetanei. E’ bravo Eraldo Baldini, ha una scrittura pregevole, esauriente senza che si trasformi in pignoleria, con un ritmo costante che chissà perché mi ricorda quello dei valzer. Stirpe selvaggia è un romanzo stupendo.
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