Le pagine di Kenaz sono dure, impietose perché egli racconta con uno sguardo cui non sfugge nulla, lucidamente, quanto il tempo riserva all’essere umano : vecchiaia, decadimento fisico, degrado morale e spirituale e soprattutto solitudine. Nell’ospedale, dove si svolge quasi tutta la vicenda, tanti sono i personaggi di cui l’autore registra le voci, le manie, le caratteristiche. Chi è malato più grave, chi meno, chi si illude che tornerà a casa presso i famigliari che non lo vogliono più tra i piedi, chi cerca di perseguire una vita normale, sapendo invece che nulla potrà fare di più, chi invece sa che la sua vita ha avuto un brusco trapasso e vuole accelerare la fine, c’è chi, come la principale protagonista, Iolanda Boscovich, non si arrende alla vecchiaia che avanza. Lei vorrebbe ancora vivere, provare qualche sentimento, respingere quella umiliazione che si prova quando si è soli e mal sopportati e si costruisce una difesa attorno a sè curando ossessivamente la sua immagine e i suoi capelli. E poi ci sono i personaggi ambigui, quelli che tutto sommato sfruttano le debolezze di vecchi, come Leon o Adela. Iolanda questo lo sa, quando torna a casa illudendosi di poter fare una vita normale. Ma cosa puoi fare quando su di te incombe la solitudine, quando la tua vita è diventata un deserto, chi ti può porgere un’ancora di salvezza disinteressata? Questi sono quesiti duri, ai quali è molto difficile dare una risposta e neanche Kenaz ci fornisce la soluzione. Si potrebbe dire che alla fine non c’è un’alternativa, una consolazione … certo! Ma l’aspetto più sorprendente della lettura è che proviamo un gran senso di umanità, che non è né compassione né pietà ma una comprensione naturale verso chi al momento sembra così lontano da noi ma che in realtà è il riflesso di noi stessi, di quello che potremmo diventare.
La signora Moskovitch e Paula la smemorata, il pittore Dagan e Fichman il pazzo sono alcuni tra i protagonisti di questo romanzo, tutti anziani ospiti di una casa di cura nei pressi di Tel Aviv. Qui, tra i corridoi e le camere, si rispecchiano con grande potenza i disagi e le paure di persone vecchie e malate, abbandonate alla propria solitudine, alla mercé di qualunque sfruttatore, costrette a una nervosa attesa dell'ultima chiamata. Il tempo è dilatato in uno spazio infinito di ricordi e di rimorsi, rapporti umani segnati dalla condizione insostenibile di non essere più indipendenti, i desideri personali relegati a particolari insignificanti, ultimi simbolici resti di vite ormai spese.
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Anno edizione:2005
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