Il cognome Cadorna richiama immediatamente il nome di una località, ora in Slovenia, chiamata Caporetto, perché è inevitabile l’associazione fra la figura del comandante in cape e quella della ritirata di Caporetto, con gli austriaci e i tedeschi che in pochi giorni non solo ripresero il territorio che avevamo conquistato nelle undici sanguinose battaglie dell’Isonzo, ma addirittura minacciarono la sorte stessa dell’Italia, spingendosi fino al Piave, che divenne così il baluardo dell’estrema difesa. Il generale Luigi Cadorna fu lo sconfitto di Caporetto, ma questo evento fu il frutto di una strategia militare dello stesso che portò a questi inevitabili conseguenze. Desideroso di essere padrone non solo della propria vita, ma anche di quella altrui condusse una guerra d’aggressione all’Austria in modo sconsiderato, con continui attacchi frontali che portarono a limitati successi territoriali a prezzo di centinaia di migliaia di morti. E’ vero che anche sul fronte occidentale le battaglie degli anglo-francesi con i tedeschi erano pur sempre scontri frontali, ma l’ottica con cui erano avviate appariva diversa, nel senso che ambo i contendenti cercavano in tal modo di dare la spallata decisiva, mentre il nostro Cadorna aveva una visuale più ristretta, alla ricerca di una vittoria significativa, ma non determinante. Quell’accanirsi sul Carso, quel cercare di conquistare l’arido e impossibile altopiano della Bainsizza danno l’idea di una strategia limitata, volta magari a cogliere un successo prestigioso, ma comunque non tale da porre fine al conflitto. Marco Mondini con Il Capo fornisce un ritratto del comandante puntuale e rigoroso, sulla base dei documenti della commissione d’inchiesta successiva ai fatti Caporetto e sempre contestualizzando l’operato del generale con l’epoca e la situazione dello stato italiano in cui Cadorna non era altro che il rappresentante di una generazione di militari di carriera permeati dalla convinzione che l’Italia fosse un paese debole e che avesse bisogno dell’indispensabile disciplina e anche ossessionati dal passato certamente non glorioso, soprattutto da quell’infausta terza guerra di indipendenza che ci vide sconfitti per terra e per mare. L’immagine che risulta risulta non è quella di un incapace, bensì quella di un uomo inadatto all’incarico ricevuto, come del resto comprovato dal giudizio della citata commissione d’inchiesta, che parla di un accentratore, tetragono alle critiche e ai punti di vista altrui, irremovibile nelle proprie certezze e convinto della propria infallibilità, incapace di ammettere i propri errori. Questa specie di dio ovviamente non aveva nessuna considerazione per i suoi sottoposti, considerati carne da macello, era continuamente teso ad affermare un principio di rigida obbedienza da imporsi con il terrore, tanto che condanne a morte e decimazioni superarono come numero quelle degli altri eserciti belligeranti. E’ un libro di indubbio interesse e che aggiunge un altro prezioso tassello al mosaico della nostra storia, risultando anche un prezioso contributo per comprendere quelle che furono le cause originarie della ritirata di Caporetto.
Il capo. La grande guerra del generale Luigi Cadorna
"Quale disastro più grande del mio? In dieci giorni io, l’idolo dell’Italia e dell’Europa, si può dire, sono giunto al fondo della miseria" Luigi Cadorna, novembre 1917 Luigi Cadorna diresse con poteri pressoché assoluti le operazioni militari italiane nella Grande Guerra. L’enorme consenso personale e la debolezza dei governi di Roma lo misero al riparo da ogni critica: nonostante l’insuccesso dei suoi piani, le enormi perdite di vite umane, il rischio di una sconfitta sul fronte trentino nel 1916, il generale rimase al suo posto fino alla disfatta di Caporetto, nell’autunno 1917. Quanto era stato incensato prima, tanto venne demonizzato poi. Il libro rilegge la carriera e l’operato di Cadorna collocandone la figura nel contesto della cultura militare europea e della storia italiana dell’epoca. Luigi Cadorna appare così come il rappresentante, non eccezionale, di una generazione di professionisti delle armi ossessionata dal passato inglorioso, dalle umilianti sconfitte e dai difetti di un paese che ritenevano debole e indisciplinato.
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Renzo Montagnoli 13 maggio 2019
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