Più leggo diari, resoconti di guerra di trincea più noto quanto di straniante ci sia in questi racconti. L’esperienze raccontate sembrano così assurde , situazioni da bolge infernali per quei giovani che le hanno affrontate , assolutamente impreparati, vittime innocenti, prima di tutto, triturate nell’infernale meccanismo dei trinceramenti. Ne subentra , come nel caso della Rochelle, una forma di “cinismo” o se vogliamo di incoscienza che lo porta ad affrontare più volte il rischio e la morte. Aldilà della sua storia personale, e delle sue successive scelte politiche, sulle quali non voglio soffermarmi, qui , in questi sei racconti, Drieu La Rochelle si presenta cronista della distruzione di massa, della annichilimento delle coscienze, e ci porta , con una narrazione cupa e spesso angosciante, a vedere come sia “il male” in tutte le sue molteplici forme il vero ed alienante volto della guerra: il male nel quale siamo tutti immersi! Quel male che nelle trincee ti fa provare disgusto e contemporaneamente ebbrezza. Pur professando indifferenza , disprezzo e disincanto, le sue parole denunciano una disperata e drammatica ricerca di una forma di salvezza; così si spiegano i suoi continui ritorni in prima linea ma anche l’amara consapevolezza di non poter essere creduto da chi non ha visto, non ha vissuto!Forse solo la scrittura è il mezzo di sollievo!!! Graffianti e spesso sarcastici sono i giudizi sulla retorica bellica e la finzione romantica borghese.
La commedia di Charleroi
“Sono partito, non sono più ritornato, questa volta”. Così Drieu La Rochelle chiude l’ultimo racconto di questa raccolta, scritta nel 1934, che ci svela cosa sia per lui il senso della guerra: l’impossibilità di fare ritorno alle commedie della vita civile dopo aver provato il disgusto e l’ebbrezza del grande conflitto del ’14-’18. Eroismo e viltà, esaltazione e disincanto, ideologia e cinismo si confondono nei personaggi della Commedia, che narrano la loro esperienza sapendo di non poter essere creduti da chi nella pace è ansioso di ritrovare soprattutto le proprie illusioni. Come la signora Pragen, la borghese arricchita del primo racconto, che cerca le tracce del figlio sul campo di Charleroi, ma fugge la realtà di una guerra che, nei massacri di massa, ha perso anche le sue retoriche e le sue finzioni romantiche. Gli uomini che hanno vissuto il furore delle trincee sono già quelli che, incapaci di abbracciare una condizione diversa dallo stato d’eccezione, andranno a popolare le grandi mobilitazioni totalitarie del Novecento. In questo senso, ’14-’18 La commedia di Charleroi, con la sua lingua intensa, oscillante tra lucidità e follia, è emblematica di uno scrittore che, al di là di ogni etichetta politica, ha fatto della propria opera e della propria sofferenza la testimonianza tragica del disagio di un’intera generazione.
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