E’ un libro che credo rileggerò fra un po’ di tempo, perché mi è piaciuto molto ma non so bene dire perché. Mi è piaciuto il timbro del racconto sempre sul bordo del non senso eppure realissimo anche se in maniera nuova. Lo racconta Grace la bambina figlia di un padre scienziato e ateo e di una madre sognatrice ed eccentrica che insegna alla bimba la storia della nascita dell’universo. Insieme a loro il babysitter di Grace, Edgar, altro personaggio che dire particolare non rende. Vita familiare, gite al lago anche in notturna, partenze, fughe, scelte non condivise fra gli adulti e Grace che presidia alla vita familiare ma è piccola, non può tenere insieme i pezzi che inevitabilmente si sfaldano, si disfano con una progressione incessante. Spesso nella lettura si attende l’evento, la tragedia, la risoluzione, l’effetto wow, ma non accade mai, è una vita che scorre fra curve tortuose.
Le cose che restano
Con la stessa poesia e intelligenza feroce di Sembrava una felicità, Jenny Offill tesse il racconto di una bambina che vuole ardentemente capire la differenza tra verità, menzogna e speranza. Un romanzo che parla del confine sottile tra futuro e passato.
Il padre di Grace crede nella scienza e costruisce per la figlia una casa di bambole con luci che si accendono davvero. La madre di Grace le racconta leggende africane e trascrive la storia dell'universo in una stanza dalle pareti dipinte di nero. Grace ha otto anni e la sua vita è come un labirinto da cui si diramano sentieri per altri mondi, fatti di numeri e fiabe, assurdità e meraviglie: ma poco alla volta anche quei mondi sbiadiscono, e la sua famiglia si disgrega. Grace è costretta a scegliere tra i propri genitori vulnerabili, diversissimi, pieni di difetti, e per farlo deve lasciare la sua casa nel Vermont e spingersi fino alle strade allagate di New Orleans, al deserto del Nevada, in un viaggio drammatico e fiabesco.
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Autore:
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Traduttore:
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Anno edizione:2016
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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orabarbara 17 agosto 2025Ottimo
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VALENTINA PESENTI 28 novembre 2017
La storia dell’origine dell’universo e della vita sulla terra fa da sfondo alla vita della famiglia di Grace, una bambina di otto anni con un padre ateo e pragmatico e una madre sognatrice, eccentrica, a tratti snaturata e persino inquietante. Il racconto sembra sempre in sospeso, ci si aspetta che possa succedere di tutto, soprattutto ci si aspetta qualche tragedia per via dell’instabilità della madre. Viene voglia di parlare con Grace a cui troppo spesso non vengono date risposte, viene voglia di trattarla per una volta come una bambina quale è. Ci si commuove per l’amore di una bambina verso quei suoi strani genitori e ci si arrabbia perché ci si sente impotenti nel constatare la sua enorme infelicità. Coinvolgente.
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Le cose che restano di Jenny Offill è il romanzo d’esordio, del ben lontano 1999, che l’autrice americana ha scritto, portato in Italia dopo il suo ultimo romanzo Sembrava una felicità da NN Editore, per la traduzione di Gioia Guerzoni. Avete letto Sembrava una felicità? Ecco, dimenticatevelo. Con questo romanzo centra poco, anzi nulla. Son passati per 18 da questa prima pubblicazione, ed ovvio lo stile della scrittrice non è rimasto inalterato, seppur qualche elemento di fondo lo si ritrova. La Offill ci parla sempre di famiglie, di rapporti familiari, e in questo libro vediamo come protagonista una bambina di 8 anni, Grace, che vive con due genitori all’opposto per modo di intendere e vivere la vita; se la mamma è un’inguaribile sognatrice, ama perdersi nei suoi racconti fantastici che nel corso della narrazione diventeranno sempre più strambi e complessi – cosa che inevitabilmente disorienterà il lettore – il padre è un uomo di scienza, quindi è più vicino al calcolo, e al rigore. Nel corso di tutta la narrazione fuoriesce la vita di questa bambina divisa tra questi due mondi, due modi di intendere la vita, due educazioni diverse, seppur vissute sotto lo stesso tetto. La Offil ci offre una riflessione profonda sull’educazione, sul concetto di sogno di cui si fa portavoce la madre e sul concetto di realtà di cui si fa portavoce il padre. La vita di questa bambina rappresenta l’intercapedine, il centro di due entità, che però, non necessariamente debbono escludersi, anzi, forse negli occhi e nell’agire di Grace diventano un unico prodotto, che non è nient’altro il prodotto con cui noi essere umani cerchiamo di vivere ogni giorno: divisi tra la possibilità del sogno e la tangibilità della realtà. Per chi non ama la creatività e la narrazione che esce fuori dagli schemi è un romanzo che non propriamente consiglierei.
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